Famiglia nel bosco, Catherine: «Su un conto australiano i soldi per il futuro dei nostri tre figli»

Così la mamma ha respinto davanti al giudice l’accusa di una scarsa solidità economica: «È dove abbiamo depositato il denaro per i bimbi. I miei parenti contribuiscono in modo importante»
PALMOLI. Non basta una casa di pietra calda e accogliente per convincere un tribunale. Non bastano i pancake cucinati la mattina o le sciarpe di lana fatte a mano per smontare l’accusa di un’esistenza precaria, slegata dalla realtà e pericolosa per il futuro di tre minori. Serve altro. Serve dimostrare che quella scelta di vita radicale, bucolica e apparentemente isolata poggia su basi solide, concrete, addirittura bancarie. È questo il compito che si è assunta Catherine Birmingham, la madre dei bambini del bosco di Palmoli, nell’udienza dello scorso 28 ottobre davanti al tribunale per i minorenni dell’Aquila.
Ma non è stato sufficiente per evitare che la responsabilità genitoriale sua e del marito Nathan Trevallion venisse sospesa, con il collocamento dei tre bimbi in una casa famiglia di Vasto. Seduta accanto ai figli, dopo aver fatto loro da traduttrice e ponte con le istituzioni, il 28 ottobre Catherine ha preso la parola per disegnare la mappa della loro sopravvivenza. E quello che ha descritto non è il quadro di una famiglia di eremiti allo sbando, ma un ampio sistema economico e affettivo, una rete di sicurezza invisibile che si estende dall’Abruzzo all’Australia, passando per l’Inghilterra.
Catherine ha risposto alle domande sugli «impegni lavorativi» con una concretezza che stride con la caricatura degli eremiti. «Io ho sempre lavorato con i cavalli», ha spiegato al giudice onorario Marco Pezzopane. Una professione adattata ai tempi: «Tuttora svolgo delle lezioni online o in presenza». Accanto a lei, Nathan «si occupa di lavorare la terra. A volte ha delle entrate lavorando con famiglie vicine», ha raccontato la moglie, citando «la raccolta di olive e la produzione di olio». Collaborazioni che raccontano un’integrazione reale nei cicli agricoli della zona.
Ma la difesa più forte riguarda il futuro, quella che Catherine definisce la loro «progettualità». L’accusa di condannare i figli all’incertezza viene respinta con strumenti finanziari: «I miei figli hanno anche un conto corrente in Australia», ha rivelato, «dove noi, ma anche i nostri parenti, depositiamo del denaro per il loro futuro». Qui entra dunque in scena la famiglia allargata, una rete di protezione che attraversa i fusi orari: «Ho cinque sorelle e mia madre che contribuiscono in maniera importante». Cinque zie e una nonna che inviano risorse. E non c’è solo l’Australia: nella geografia degli affetti c’è spazio anche per l’Inghilterra, terra del marito. «Sentiamo e abbiamo un buon rapporto anche con il padre di mio marito», ha aggiunto, descrivendo un nonno che «viene anche a trovarci quando può».
Le parole della madre offrono una chiave di lettura diversa: se i figli possono rivendicare con orgoglio la vita all’aria aperta, è perché sentono la tenuta di questa struttura. Quello che Catherine ha consegnato ai giudici è l’immagine di una vita pianificata. C’è il lavoro digitale, c’è quello agricolo, ci sono i bonifici dall’Australia e i nonni inglesi. C’è un piano. Resta da vedere se questo intreccio tra Abruzzo, Gran Bretagna e Oceania sarà considerato abbastanza solido da garantire, agli occhi della legge, il futuro dei tre bambini.
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