L'editoriale

Famiglia nel bosco, la fase due parte con un cambio di strategia

27 Novembre 2025

Le parole del direttore sul caso di Palmoli: «Questa svolta non è frutto di un capriccio, o di una distrazione, quanto di una scelta che appare ponderata lucidamente»

In una vicenda così grande, come è diventata grande la storia dei bambini del bosco, anche il cambio di un avvocato diventa una notizia da notiziario nazionale dell’agenzia Ansa. Anche la relazione di una assistente sociale può diventare (è accaduto ieri) il tema di una puntata di Lilli Gruber.

Come cittadino credo che la famiglia Trevallion-Birmingham dovrebbe erigere una statua d’oro all’avvocato che lascia, Giovanni Angelucci, l’uomo che li ha difesi e imposti all’attenzione generale facendosi largo a sportellate nei sommari dei telegiornali e nelle pagine dei quotidiani nazionali. Ma come giornalista che ha delle fonti attente ai dettagli non posso non notare che questo cambio non è frutto di un capriccio, o di una distrazione, quanto di una strategia che appare ponderata lucidamente. Finisce la fase uno, pur efficacissima, ma pensata per costringere all’ascolto l’opinione pubblica (ad esempio con i reportage delle Iene e le esclusive da Massimo Giletti) e ne inizia un’altra, una fase due, più moderata: identità e dialogo costruttivo. Silenzio stampa rigoroso, come quello dei mister della Serie A.

Ed ecco che così – con uno scarto di intelligenza comunicativa – i Trevallion diventano una famiglia “di lotta e di governo”, e il loro nuovo avvocato ha il compito di chiudere una complicata trattativa Stato-Bosco di Palmoli. Fantastico.

Mai sottovalutare i protagonisti di una storia televisiva. Evolvono nella loro consapevolezza alla velocità della luce: sette giorni di dirette tv sono come sette anni di università. Il circo mediatico che ha assediato la famiglia pensando di avere a che fare con dei simpatici sempliciotti anglosassoni (magari naturisti e svagati) sbagliava. Martedì sera ho riconosciuto in Nathan il ruggito di un figlio dell’impero, quando ha chiuso la linea del collegamento a “Lo Stato delle cose” rifiutandosi di dire una parola in più, con un ruggito da leader mediatico nascente: “Ciao Massimo! Mi dispiace, scusami, ma io da oggi non rilascio più dichiarazioni”. E se n’è andato. È lo stesso Nathan che due giorni fa sembrava scosso da un mal di pancia che gli aveva tolto il sonno e la serenità, lo stesso che si dichiara ai nostri Daniele Cristofani e Gianluca Lettieri “un nonviolento assoluto”. Anche nei confronti della natura, anche verso quello che Pietro Ingrao chiamava “L’umano nonviolento”. Ed ecco un’altra perla: “Noi – spiega – non tagliamo mai la legna che bruciamo dai nostri alberi. Usiamo solo rami secchi già caduti a terra o spezzati dal vento”. I retroscena del bosco raccontano che dietro questa doppia scelta – cambio avvocato più cambio di strategia – ci sia un consiglio che arriva dagli amici delle comunità neo-rurali, i gruppi di sostenitori che sono il retroterra solidale della famiglia in queste ore difficili. Ma c’è anche il carattere radicale che è in tutte le scelte di Nathan (“Non vogliamo che i nostri figli bevano acqua clorata”), così come c’è il tutto carattere di sua moglie Catherine, quando ringrazia per la solidarietà lo splendido imprenditore Armando Carusi (che gli offriva la sua casa del bosco in usufrutto gratuito), ma anche quando, mentre parlava con chi avrebbe dovuto ristrutturare la loro abitazione per fare un bagno e una stanza in più, spiegava con calma granitica: “Non voglio che mettiate tubi di plastica nella nostra casa”. Pausa. “E come bisognerebbe farli, allora, questi tubi?”. Risposta semplice: “Di Rame”.

Forse anche in questo scambio di battute c’è una piccola grande verità che ci aiuta a capire meglio questa storia: i Trevallion-Birmingham sono una famiglia radicale nelle sue scelte, oserei dire intransigente. Mentre si avvicina alla velocità della luce il termine per la presentazione del ricorso in Appello (sabato) che deciderà se conversare o mettere fine alla loro separazione, sembra quasi che l’Italia stia assistendo a una campagna referendaria: pro o contro uno stile di vita. Ma questo dibattito non è e non può diventare un dibattito astratto pro o contro la magistratura. È un dibattito sui fatti. E noi (a partire dai certificati vaccinali che trovate in pagina oggi) pubblichiamo delle notizie che partono dai documenti. Non si discute se abbia ragione Nordio, o il presidente dell’Anm. Non si discute della separazione delle carriere, non si parla di cosa ne pensa la destra o la sinistra. Il tema è complesso, e la risposta giusta non si scrive con un machete su una corteccia, ma con una penna di piuma d’oca su una pergamena sottile. Fatevi la vostra idea, ma a partire dai documenti e dai fatti. Ed ecco l’intuibile importanza del documento che vi sottoponiamo oggi. Non so se con scaltrezza o con ingenuità, nella famosa relazione che ha portato alla sottrazione dei figli ai genitori, l’assistente sociale scriveva: “Si evidenzia la necessità di effettuare esami ematochimici per una valutazione dello stato immunitario vaccinale”. Perché questa frase è importante? Perché era uno dei temi sensibili che giustificavano la sottrazione della responsabilità genitoriale. Ambigua al punto giusto, e infatti ha fatto nascere la polemica, con diversi esponenti politici che ci hanno detto: “Ma allora sono dei No-vax!”. E a ruota: “Ma allora rifiutano lo Stato, le sue leggi, l’obbligo della tutela sanitaria dei minori!”. E invece, quando si passa dall’ideologia ai fatti, la risposta è più semplice del teorema: no. Non era così. I bambini sono regolarmente iscritti al sistema sanitario nazionale. Hanno effettuato le vaccinazioni esavalenti. Vivono in un bosco senza il bagno in camera, certo, ma questo non basta per calarli ideologicamente nel cliché del no-vax. Quando si uscirà dai teoremi ideologici, si potrà siglare anche il trattato finale di questa caricaturale trattativa Stato-Bosco di Palmoli.