L'omicidio Calvi appeso al Dna

28 Agosto 2010

L'avvocato degli indagati: «Basta con il linciaggio, sono innocenti»

CHIETI. L'inchiesta sull'omicidio di Ofelia Calvi si arricchisce di nuovi particolari. Prima di tutto è venuto a galla il motivo per cui uno degli indagati è stato sottoposto all'esame del Dna. Sul giaccone dell'anziana donna - assassinata il 4 gennio del 2006 nell'androne dell'abitazione in via De Lollis - a distanza di anni, infatti, è stato rinvenuto il profilo di un Dna maschile.

E l'esame effettuato prima di Ferragosto servirà a verificare se è compatibile con quello dell'indagato per omicidio preterintenzionale, un uomo di Chieti. I risultati sono in arrivo e potrebbero segnare la svolta dell'indagine. Che vede sul registro degli indagati padre e figlio. Il primo sarebbe l'autore materiale dell'omicidio, secondo la polizia; il secondo, accusato di furto aggravato, avrebbe partecipato al blitz finito con la morte della 83enne vedova teatina che gestiva un negozio di giocattoli in pieno centro. Finora, però, gli investigatori possono esibire solo indizi. 

Il legame.
E' il figlio il trait d'union con la famiglia. Il giovane, infatti, fino al giugno del 2005 ha frequentato l'abitazione in via De Lollis. Accompagnava la figlia di Ofelia Calvi, Anna, scomparsa a 51 anni. La donna aveva problemi fisici ed era bisognosa di sostegno per muoversi. E proprio durante la veglia funebre di Anna sarebbe scomparso un braccialetto dal portagioie. La signora Calvi di questo furto avrebbe sospettato proprio il giovane. Un sospetto e niente di più. Caduto lì. Ma che è stato raccolto dalla badante della Calvi, dopo la sua morte, e raccontata ai poliziotti. Che, a distanza di tempo, sono andati in un negozio della città che compra e vende oro. Hanno chiesto se il giovane aveva portato il monile; risposta negativa. Ma spulciando l'archivio è emerso un particolare. Il padre del giovane, qualche mese dopo il giugno del 2005, esibendo i documenti, ha venduto al negozio un braccialetto simile a quello scomparso in casa di Ofelia Calvi. 185 euro il ricavato. Gli investigatori hanno messo insieme questi ed altri particolari e hanno costruito il castello accusatorio, arricchito dalla verifica dell'impennata delle conversazioni telefoniche tra padre e figlio nel giorno dell'omicidio. 

L'inchiesta.
E' stata archiviata nel gennaio del 2007, nessun colpevole. Ma è stata riaperta nei primi mesi del 2010. E' portata avanti dalla polizia ed è coordinata dal pm Giuseppe Falasca. A giugno le prime indiscrezioni: il Centro ha dato prima la notizia della riapertura dell'indagine e poi ha scritto dell'avviso di garanzia a padre e figlio. Un paio di settimane fa un settimanale del gruppo Mondadori ha ripreso la vicenda con ulteriori dettagli, fornendo anche indicazioni sull'identità degli indagati. Parla l'avvocato. Ecco, quindi, la reazione di padre e figlio di cui si fa portavoce il legale, Marco Bevilacqua. «Abbiamo la necessità, quasi fisica, di gridare al mondo intero l'innocenza dei miei assistiti. Che, tanto per essere chiari, hanno mostrato un atteggiamento collaborativo con gli inquirenti. Non a caso», sostiene l'avvocato, «uno dei due si è offerto volontariamente per la prova del Dna convinto com'è che possa essere la chiave per scagionarlo dalle accuse. Resta la fuga di notizie per la quale abbiamo inoltrato regolare denuncia ai carabinieri di Chieti», sostiene Marco Bevilacqua. «Inoltre abbiamo querelato il settimanale che ha fornito dettagli palesemente falsi. Tanto per iniziare, il padre non ha alcun precedente penale. E comunque, c'è chi ha avuto accesso agli atti prim'ancora della difesa e questo non va bene. Il motivo per cui è stata chiesta la prova del Dna l'abbiamo appreso dalla stampa. E comunque il mio assistito ha aderito senza problemi alla richiesta». E poi: «Non è affatto vero che il padre abbia rifiutato l'interrogatorio». Non è finita: «I miei clienti temono l'insabbiamento della denuncia per fuga di notizie e si augurano che si vada fino in fondo per accertare le responsabilità di chi li ha esposto al pubblico ludibrio». Ancora: «In questa vicenda esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla famiglia della signora Calvi. Siamo addolorati per quanto accaduto e desiderosi di avere una verità che scagionerà i miei clienti dalle accuse». Il tutto in attesa dei risultati della prova del Dna.

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