Morte di Lorena, appello degli zii al pm: «Nessun suicidio, si indaghi ancora»

Il giallo di Ortona. Anche Leone Di Carlo e Maria Di Paolo si affidano a un avvocato e presentano una memoria in procura. A breve la nomina di consulenti di parte per analizzare il materiale emerso finora dall’inchiesta
Una nuova voce si aggiunge al giallo di Lorena Paolini, trovata a 53 anni senza vita il 18 agosto 2024 nella sua abitazione di Ortona. A più di un anno di distanza, con le indagini alle battute finali e il medico legale Cristian D’Ovidio che propende per il suicidio, la famiglia sceglie di compattarsi e portare avanti con più forza la propria linea: «Lorena non si è tolta la vita». A farsi avanti come parte offesa è Leone Di Carlo, zio delle sorelle Paolini, ma soprattutto padre putativo che insieme alla moglie Maria Di Paolo le ha cresciute in tenera età a Crecchio, quando i genitori erano costretti a vivere in Germania per lavoro. Ora non c’è più solo la sorella di Lorena, Silvana Paolini, a battersi in procura insieme alla sua avvocata Francesca Di Muzio contro l’ipotesi suicidaria. A rappresentare Di Carlo è l’avvocato Nicola Rullo del foro di Lanciano, che ha già depositato memorie e avuto un incontro con il pm Giuseppe Falasca. «L’incontro», spiega Rullo, «è stato finalizzato a far comprendere quanto la famiglia Paolini sia unita e a far sentire la sua voce all’unisono oltre a quella di Silvana. Vogliamo interagire al meglio con le indagini affinché nulla resti incompiuto». Una novità che arriva in una fase delicata dell'inchiesta. Il professor D’Ovidio, medico legale incaricato dalla procura, ha consegnato una consulenza di circa 200 pagine in cui conclude che Lorena è morta per asfissia meccanica volontaria: suicidio, dunque. Una tesi che si fonda sull’assenza di segni di difesa sul corpo e sul solco discontinuo rinvenuto sul collo della donna, ritenuto poco compatibile con una dinamica omicidiaria. A rafforzare la pista, secondo il consulente, anche l’insieme degli elementi «ispettivo-autoptici, istologici, tossicologici e di ordine bibliografico». Ma la famiglia non ci crede, e a farla dubitare ci sono anche i risultati delle prove tecniche condotte dal Ris di Roma. Lo scorso gennaio, con l’ausilio di un manichino, era stata simulata l’impiccagione al lampadario dello sgabuzzino, ipotesi sostenuta dall’unico indagato Andrea Cieri, marito della donna, dalla figlia minorenne e dal fratello Giuseppe. Quest’ultimo dichiarò anche di aver fatto sparire la corda usata da Lorena. La relazione del Ris è arrivata però a una conclusione netta: l’esperimento è «inconclusivo» perché i risultati «non supportano né l'ipotesi suicidiaria né quella alternativa», anche per la presenza di fibre «di natura diversa rispetto a quelle della cima in esame». In questo scenario, l’ingresso di Leone Di Carlo come parte offesa apre a una nuova strategia difensiva della famiglia con due legali. L’avvocato Rullo ha chiesto la visione e l’estrazione di tutti gli atti non ripetibili, comprese le perizie del Ris e le analisi informatiche, riservandosi di nominare a breve consulenti di parte. I possibili scenari restano tre: il rinvio a giudizio dell’indagato con fissazione dell’udienza preliminare; la richiesta di archiviazione che, se accolta dal gip, chiuderebbe il caso; oppure una proroga delle indagini che consentirebbe ulteriori approfondimenti. Intanto, a tredici mesi dalla tragedia, il giallo di Ortona resta ancora aperto.