Parco della Costa teatina mai nato, il caso arriva al Tar dopo 24 anni

Il Wwf presenta ricorso sulla riserva naturale istituita dal Parlamento nel 2001 ma poi dimenticata. Di Tizio: «La magistratura faccia quello che la politica si è rifiutata di fare in un quarto di secolo»
FOSSACESIA. Sarà il Tar Abruzzo a decidere se esiste davvero il Parco nazionale della Costa teatina, votato dal Parlamento nel 2001 e poi dimenticato. «Confidiamo che la magistratura faccia quello che la politica si è rifiutata di fare per un quarto di secolo», dice Luciano Di Tizio, presidente Wwf Italia che ha appena presentato un ricorso al Tar «per chiedere che si risolva un vero e proprio paradosso giuridico e si dia finalmente seguito a una legge dello Stato italiano». Dal 23 marzo di 24 anni fa la legge, promulgata dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, è in vigore: «L’istituzione e il funzionamento del Parco nazionale Costa teatina sono finanziati nei limiti massimi di spesa di 1.000 milioni di lire a decorrere dall’anno 2001», così recita la legge 96 che, coperta da una coltre di polvere, resiste al tempo che passa. Ormai, il parco fantasma va per i 25 anni: il parco, istituito per legge, sulla carta esiste ma in realtà non è mai nato.
«Vogliamo che si concluda finalmente il procedimento previsto dalla legge», osserva Di Tizio, «e che vengano attuate le misure necessarie per proteggere davvero un’area riconosciuta di alto valore naturalistico e culturale. La nostra è una richiesta di responsabilità e coerenza istituzionale, oltre che di protezione della natura: va applicata una norma esistente, votata dal Parlamento italiano, così da poter tutelare un territorio che già possiede le potenzialità per diventare un modello di equilibrio tra conservazione e sviluppo sostenibile. Il Parco della Costa teatina non può più restare fermo sulla carta». E c’è un precedente che, secondo il Wwf, potrebbe orientare la decisione dei giudici: è quello del Parco nazionale del Matese.
La storia della riserva naturale proiettata sul mare con otto comuni coinvolti – Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro, Casalbordino, Vasto e San Salvo – è quella di un immobilismo italico: zero passi avanti tra il 2001 e il 2015 quando il commissario Giuseppe De Dominicis ha completato la proposta di perimetrazione e misure di salvaguardia. «E da allora», spiega Di Tizio, «sono trascorsi altri dieci anni, ma nessuna azione concreta è stata portata a termine dalle istituzioni competenti e il parco è rimasto fermo, andando ad arricchire l’elenco dei “parchi di carta” previsti da una legge, ma mai concretizzati. Nel frattempo», continua il presidente Wwf, «il territorio della costa teatina, privo di un sistema di tutela efficace, è stato esposto a interventi edilizi e trasformazioni che ne minacciano l’equilibrio ambientale e paesaggistico, compromettendone anche le grandi potenziali turistiche. Di fronte a questo stallo e, dopo aver sollecitato innumerevoli volte le amministrazioni centrali anche attraverso una formale diffida, il Wwf Italia ha deciso di presentare un ricorso al Tar Abruzzo, patrocinato dall’avvocato Alessandro Corporente».
A distanza di 24 anni dal varo della legge istitutiva, il panorama della Costa dei trabocchi è mutato secondo la filosofia del “tutto scorre”: sono arrivati i complessi edilizi, le villette arroccate sui costoni, i chioschi per gli aperitivi. E poi i treni non passano più e l’ex ferrovia è diventata un percorso ciclopedonale: è la Via Verde ancora puntellata dai ruderi delle ex stazioni. Quegli immobili sono ancora di proprietà delle Ferrovie dello Stato e di Rfi e trovare i soldi per rilevarli finora è stata un’impresa impossibile: la compravendita da circa due milioni tra Ferrovie dello Stato e Rfi e la Provincia di Chieti potrebbe essere conclusa entro fine anno – in base alle rassicurazioni del presidente della Provincia e sindaco di Vasto Francesco Menna del Pd – ma non ci sono certezze. Se l’accordo andasse in porto, poi si aprirebbe un’altra fase con una gara d’appalto per trovare i gestori dei ruderi, chiamati anche a fare i lavori per ridare vita ai fabbricati fatiscenti: la prima stima parla di 15-20 milioni di euro che la Provincia non possiede.
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