L'arresto dei carabinieri di Chieti a Bergamo di Simone Cuppari

CHIETI

Preso boss della 'ndrangheta insediato nel Chietino / VIDEO

In carcere a Bergamo Simone Cuppari, capo di una 'ndrina calabrese con base a Francavilla. I proventi di droga e riclaggio impiegati nell'usura, ristorazione e scommesse elettroniche

CHIETI. Sfuggito alla cattura nel  febbraio 2017, per circa un anno e mezzo, i carabinieri di Chieti hanno incessantemente proseguito le attività d’indagine riuscendolo a localizzare, nei giorni scorsi, un appartamento della provincia di Bergamo dove, da qualche tempo il latitante si nascondeva sotto falsa identità.

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L'arresto di Cuppari
L'operazione dei carabinieri del comando di Chieti che si è conclusa a Bergamo con la cattura del capo della 'ndrina reggina operativo a Francavilla al Mare

Simone Cuppari, 36 anni, originario della Calabria, è stato bloccato dai militari mentre si apprestava a partire per le vacanze estive, con la moglie e i suoi due figli, prenotate in una nota località veneta. Per lui si sono aperte le porte del carcere di via Gleno, a Bergamo,  dove sicuramente trascorrerà il Ferragosto. Il calabrese capo della omonima 'ndrina reggina proveniente da Brancaleone, elemento di spicco di un'associazione per delinquere di stampo mafioso dedita prevalentemente al traffico di sostanze stupefacenti e riciclaggio, con base a Francavilla al Mare (Chieti) e ramificazioni in tutta Italia, è stato condannato lo scorso 10 luglio dal Tribunale di Chieti a 28 anni di reclusione per traffico di cocaina. 

Simone Cuppari, 36 anni

Su Cuppari pendono tre ordinanze di custodia cautelare in carcere della direzione distrettuale antimafia (Dda) dell'Aquila, di Reggio Calabria e dal Tribunale di Pescara. Era riuscito a sfuggire nell'ambito delle operazioni Sparta e Banco Nuovo condotte dai carabinieri di Pescara e di Locri, e alla cattura, nel febbraio 2017, nel corso dell'operazione Design della Dda dell'Aquila, condotta dai carabinieri del comando provinciale di Chieti. Le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Chieti erano cominciate nel 2014, quando erano riusciti a portare alla luce la presenza di una consorteria criminale costituita, organizzata e consolidata sul territorio abruzzese, con le connotazioni tipiche della criminalità organizzata calabrese riconducibile alla ‘ndrangheta, i cui promotori e sodali principali provenivano dall’area Calabrese ed erano strettamente collegati, per parentela diretta o indiretta e per fitte reti di scambio criminale, con le più note famiglie ‘ndranghetiste della cosiddetta locale di Africo.

L'arresto di Simone Cuppari a Bergamo

Dopo l’indagine Adriatico, che aveva evidenziato, seppure in fase processuale, l’esistenza nel Vastese di un’organizzazione riconducibile alla camorra, l’operazione Design, per la prima volta, ha certificato la costituzione e il radicamento in territorio abruzzese di un’organizzazione criminale di stampo ‘ndranghetista. Le investigazioni, condotte per oltre due anni nel più stretto riserbo, hanno consentito di chiarire come la cellula abruzzese, con a capo Cuppari, boss da tempo residente sulla costa teatina, avesse consolidato un efficiente e proficuo canale di approvvigionamento di ingenti quantità di stupefacenti (prevalentemente cocaina) da un analogo gruppo di affiliati alla ‘ndrangheta, stanziati in Lombardia, a loro volta riconducibili, per vincoli di sangue o parentela acquisita, alle  famiglie della locale di Platì, dai quali approvvigionavano carichi di cocaina con cadenza periodica. La droga veniva distribuita nel mercato abruzzese, prevalentemente nelle provincie di Chieti e Pescara, dai sodali ai vari livelli discendenti e da elementi della malavita locale contigui al sodalizio. I proventi dello spaccio della droga venivano reimpiegati nell’acquisizione di attività commerciali, prevalentemente nella raccolta di scommesse elettroniche e nella ristorazione, e in episodi di usura a danno di piccoli commercianti e imprenditori locali in difficoltà, moltiplicando, così i guadagni. I profitti realizzati venivano, in parte, reimpiegati in attività imprenditoriali in Calabria, ad esempio nel commercio di autoveicoli e nella realizzazione di villaggi turistici di grandi dimensioni. Le indagini hanno delineato la particolare propensione del gruppo ‘ndranghetista,  soprattutto dei suoi vertici, nell’investimento dei capitali, acquisiti illecitamente, in attività imprenditoriali e commerciali, come pure la capacità di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, anche, e paradossalmente, attraverso il consenso acquisito, costituendo per taluni personaggi locali fonte di lavoro e di sostentamento.

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