Lanciano

Processione con la kefiah al collo, Don Alessio: «Messaggio di pace»

19 Settembre 2025

La presa di posizione del giovane sacerdote frentano durante le Feste di settembre per la patrona: «O ti opponi a un genocidio oppure no, io mi oppongo. Il mio compito è stimolare e incitare all’azione»

LANCIANO. C’era anche la Palestina, martedì scorso, a sfilare lungo corso Trento e Trieste di Lanciano, nella più affollate delle processioni, accanto alla Madonna del ponte, regina del popolo frentano. Sono le feste patronali, c’è la paratura ridondante di luci. Il vescovo, Emidio Cipollone, indossa la stola color oro e sono d’oro anche le corone della Madonna e del Bambino che sfilano in silenzio tra le vie di una città in preghiera. Dietro la statua della vergine incedono le alte uniformi dei corpi militari, gli scout e i rappresentanti delle parrocchie cittadine assieme a sindaci, consiglieri, assessori. E tra tutti e tutto spicca una kefiah rossa al collo e sulle spalle di un sacerdote. Copricapo tradizionale della cultura araba, visto così, in mezzo a una solenne processione, è come una croce. Una macchia di colore che, mai come adesso, sembra sangue. A vestire quel simbolo così potente, in uno dei momenti più sentiti della città, è don Alessio Primante, 36 anni, responsabile della Cappellania scolastica dell’arcidiocesi di Lanciano-Ortona, cancelliere della Curia, professore di religione nel liceo classico cittadino e docente di diritto canonico nell'istituto teologico abruzzese e molisano Pianum di Chieti. Su di sé porta tutte «le lacrime e le preghiere del popolo». «Ho sentito addosso tutto il dolore, tutte le preghiere della gente», racconta, «perché in tantissimi in questi mesi mi hanno detto che stavano male per quanto stava avvenendo in Palestina. È vero che la kefiah sembrava una croce, era una croce di coscienza, che pesa e che fa fatica in questi giorni bui». Il suo gesto, spiega, era ormai «maturo». «Sono una persona molto diretta e schietta, e molto spesso prendo decisioni che se da un lato sono ragionate e frutto di riflessione, dall'altro arrivano d'impulso», dice, «in quel momento, in quella processione, ho pensato che il mio potesse essere un momento di preghiera personale, ma la preghiera serve proprio a diventare più umani. Ho sentito quindi che indossare quel simbolo non dovesse essere più un messaggio solo mio: io ho la responsabilità di diffonderlo, proprio perché sono prete, proprio perché indosso questo abito».

Da mesi don Alessio parla con i suoi ragazzi della questione israelo-palestinese. «Abbiamo fatto dei gruppi di studio, affrontato storicamente la questione», riprende il sacerdote lancianese, «ma in questo momento ho voluto proprio rispondere allo stimolo della mia coscienza che mi ha detto “Alè, non puoi più stare zitto”». Don Alessio non è uno che ha paura di buttarsi nella mischia. Mesi fa fu molto vicino alla famiglia di Andrea Prospero, lo studente universitario di Lanciano trovato morto a Perugia il 29 gennaio scorso e in città ha organizzato gruppi e veglie di preghiera, un corteo, momenti di conforto per tutti i ragazzi che si trovarono sperduti e affranti da quella tragedia. «Non è previsto dal mio “contratto” fermarsi di fronte al dolore, alle cose che per tutti sembrano difficili e insormontabili», sorride, «io devo stare vicino alle persone. E anche in questo caso io ho pensato ai bambini che stanno morendo a migliaia, a un popolo costretto a lasciare la propria terra. Nel 1940 sarei stato vicino agli ebrei, oggi sto con i palestinesi. Non è questione di stare dalla parte giusta della storia, è una scelta: o ti opponi a un genocidio oppure no. E io mi oppongo». Per tutta la durata della processione don Alessio si è sentito addosso non solo il peso di un mondo in lacrime e senza difese, ma anche gli occhi della gente. In tanti pregavano, gli hanno dato dei segnali di saluto e di vicinanza, ma altri no. Altri hanno biascicato cose che il sacerdote non vuole raccontare. «Forse erano presi dalla rabbia, non ha senso ripetere quelle offese. Per il ruolo che rivesto sono chiamato anche a provocare, parola che in latino, pro - vocare, significa stimolare, incitare a un’azione, fare qualcosa per qualcuno». C'è una ragazza che lo ha colpito nelle scorse settimane ed è forse anche grazie a lei che don Alessio ha voluto “rompere gli argini”. «È venuta nel mio ufficio», racconta, «per propormi per il Natale un'immagine del presepe legato alla questione palestinese. Era stata a Gaza anni fa e parlava di quelle persone come se fossero fratelli e sorelle. In lei ho visto la compassione, quel “patire con” che trascende anche l'essere cattolici e che significa sentire lo stesso dolore, da umani. In quel momento mi sono detto che anche io dovevo imparare dagli altri». Come un padre che guarda amorevolmente un figlio, il vescovo di Lanciano e Ortona ha avuto al fianco don Alessio e la sua kefiah, testimoni potenti e silenziosi di una pietas universale, per tutta la durata della processione. «Un messaggio di pace, giustizia e solidarietà», ha commentato monsignor Cipollone la scelta del suo sacerdote, «che pur facendo riferimento ad una situazione concreta, quale quella di Gaza, ha un valore universale in riferimento alla necessità di cercare la pace in tutte le situazioni di conflitto e violenza che ci sono nel mondo». «Va bene così», chiude don Alessio, «tante persone vicine mi dicevano chi te lo fa fare, ma io penso di aver fatto una cosa che non è più nemmeno giusta, ma necessaria. Non possiamo partire tutti con la Flotilla (la flotta internazionale di decine di imbarcazioni che portano aiuti umanitari nella Striscia di Gaza che prova a rompere il blocco navale imposto da Israle ndc), ma la flotta umana è molto più grande e per questo va diffuso il messaggio di pace in ogni modo possibile».