Scoperta la Wanna Marchi di Chieti: i soldi della truffa per aprire una pizzeria

Una 56enne si fa consegnare oltre 67mila euro in due anni da una disabile grave, ricoverata in una casa di cura: «È colpa delle “negatività” che ti circondano, paga e io le elimino». Nei guai anche il figlio, proprietario del locale
CHIETI. Una diagnosi che non parlava di malattia, ma di «negatività». E una cura che, invece di restituire benessere, sottraeva decine di migliaia di euro a una donna fragile. È lo schema di un raggiro in stile Wanna Marchi al centro di un’inchiesta della procura di Chieti, che – con il pubblico ministero Giancarlo Ciani – ha chiesto il processo di madre e figlio teatini, lei 56 anni e lui 33. Le contestazioni descrivono una filiera criminale a gestione familiare: la madre è accusata di aver orchestrato la truffa, il figlio di aver poi reimpiegato il denaro in una nuova pizzeria.
Il castello accusatorio costruito dagli investigatori della guardia di finanza poggia sulla condizione di estrema vulnerabilità della vittima, ricoverata in una clinica e lì avvicinata. La donna, affetta da una condizione di grave fragilità, segnata da disabilità fisiche e da disturbi di natura psicologica che ne alteravano la percezione della realtà, rappresentava il bersaglio perfetto.
Un quadro clinico complesso che l’ha resa particolarmente recettiva a spiegazioni irrazionali per il proprio malessere, aprendo la porta a chi le offriva una soluzione non medica ma esoterica. In questo terreno di sofferenza si è inserita la cinquantaseienne. La sua strategia è consistita nel convincere la vittima che la radice dei suoi mali fosse spirituale, isolandola dalla realtà e rendendola dipendente dalle sue parole. Un’influenza divenuta totalizzante, una “terapia” continua fatta di incontri e consulenze volte a rafforzare il plagio e a giustificare le continue richieste di denaro, fino a sostituirsi a pareri medici e al buonsenso.
Una volta plagiata la vittima, la donna si è proposta come unica salvatrice, offrendo prestazioni professionali per purificare la sua anima. Per questa cura dell’occulto, protrattasi per quasi due anni tra il 2022 e la fine del 2024, la vittima ha versato 67.460 euro tramite plurimi e costanti bonifici. Un flusso di denaro per pagare un servizio intangibile e «materiali non specificati», la cui unica prova di efficacia era la parola della stessa persona che ne beneficiava economicamente. È questa l’ipotesi di truffa aggravata che la procura contesta esclusivamente alla madre. Una cifra che fa scattare anche l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità.
La seconda fase del piano, come ricostruito dalle fiamme gialle, riguarda il reimpiego del denaro. Qui entra in scena il figlio trentatreenne, destinatario della specifica accusa di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Dalle indagini emerge che il giovane ha ricevuto dalla madre una parte dei proventi, 10.400 euro, attraverso un bonifico sul conto della sua ditta individuale, formalmente costituita il 14 marzo 2024. Quel capitale è stato il seme per l’apertura della pizzeria nel centro del capoluogo teatino, un’attività con tavoli aperti al pubblico la cui facciata lecita, secondo l’accusa, nascondeva un’origine “fuorilegge”.
L’inchiesta è ora approdata in tribunale. L’udienza preliminare di ieri è stata aggiornata dal giudice Maurizio Sacco al prossimo 21 ottobre. Gli imputati, difesi dagli avvocati Gianluca Polleggioni e Lorenzo Migliozzi, si professano innocenti.
Spetterà ora al giudice decidere se le prove raccolte siano sufficienti per portare a processo una vicenda dove la cura dell’anima si intreccia con il più concreto dei reati: il reimpiego di denaro di provenienza illecita.
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