Sixty, 300 in cassa integrazione

Annunciato il piano di risanamento: 200 esuberi in due anni e mezzo

CHIETI. Allarme occupazione alla Sixty. L'azienda di moda dello scalo ha avviato cassa integrazione ordinaria per 8 settimane, che potrebbe coinvolgere fino a 300 dipendenti. L'ammortizzatore sociale, che aiuta le aziende a respirare in tempi di crisi, è l'anticamera di periodi più bui. Il piano industriale del gruppo prevede 200 esuberi nei prossimi due anni e mezzo.

«Ci sono troppe analogie», dicono i sindacati, «con quel che è successo nell'ex camiceria».
Il ricordo corre alla Marvin Gelber, che raggiunse 3 mila dipendenti negli anni '60 e sul finire del secolo, ormai Iac, trasferì all'estero ampi processi produttivi, riducendo all'osso l'occupazione locale. Con Sixty, che proprio allo scalo ha mosso i primi passi, potrebbe ripetersi lo stesso copione. Questo è il timore dei sindacati e lavoratori. Un colpo basso alla già difficile situazione occupazionale teatina, sulla quale l'invito è unanime: «Le istituzioni vigilino e intervengano». Lo stabilimento di Sixty, infatti, conta oggi poco più di 500 dipendenti e nel giro di poco tempo rischia di dimezzare, o quasi, le proprie risorse umane. La situazione è difficile. Cresce l'apprensione dei lavoratori. Tante le storie di vita alle spalle di questa ulteriore crisi, ampiamente annunciata dai sindacati. A metà gennaio Giuseppe Rucci della Filctem-Cgil aveva lanciato l'allarme.

Il nuovo piano industriale, che sarebbe stato presentato di lì a pochi giorni, faceva presagire una nuova emorragia di posti di lavoro.

Appena un anno prima l'azienda aveva annunciato esuberi per 55 unità, riparando poi in cassintegrazione e quindi in contratto di solidarietà, con la formula del lavoriamo-meno-ma-lavoriamo-tutti.

«Al di là delle 8 settimane di cassintegrazione attuale, l'azienda qualche settimana fa ha annunciato un piano di risanamento», dice Rucci, «che prevede nei prossimi due anni e mezzo l'uscita di circa 200 lavoratori. Come organizzazioni sindacali stiamo cercando di mettere in sicurezza i lavoratori. Tant'è che quest'azienda ha goduto di tutti gli strumenti necessari, dalla cassa integrazione straordinaria a quella ordinaria, al contratto di solidarietà e alla mobilità volontaria. Ora, però, è quanto mai necessario fare un passaggio successivo per definire la situazione complessiva non solo sotto il profilo economico ma soprattutto occupazionale, discutendo ad ampio raggio sui progetti di impostazione e organizzazione aziendale in itinere».
Rucci ribadisce che, prima di ogni azione e decisione, si confronterà con i lavoratori e gli altri sindacati.

Preoccupazione forte esprime anche Alessandro Azzola, segretario regionale tessile e abbigliamento di Uil.

«L'azienda sta facento scelte che da qui a tre anni», afferma il sindacalista, «potrebbero trasferire all'estero gran parte delle attività. Un processo sulla falsa riga della Rodrigo, ex camiceria. Nel giro di due anni la Sixty ha bruciato sul territorio circa 2 mila posti di lavoro, tra dipendenti interni e mondo dei contoterzisti».

L'effetto domino di questa vicenda è potenzialmente devastante. Intorno al pianeta Sixty, infatti, ruotano una serie di laboratori e sartorie artigianali, con diverse centinaia di addetti. Di recente è stato costituito un consorzio, "Moda in Adriatico", filiera di imprese locali, suggerita proprio dal gruppo moda per assicurare produzioni di alta qualità, al passo con i gusti e le esigenze di mercato.

Che fine farà questo consorzio? «A mio parere non ha gambe per camminare», risponde Azzola, «vanta pochissime risorse per poter davvero garantire i servizi che servono alla Sixty».

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