Uccise la madre: condannato all’ergastolo
Accolta la richiesta del pm: De Vincentiis ha inferito con ferocia e lucidità. I giudici: non fu legittima difesa, niente attenuanti
CHIETI. Alle 15.03, dopo un’ora e un quarto di camera di consiglio, il destino di Cristiano De Vincentiis si compie in una sola parola: «Ergastolo». La pronuncia con tono severo e spedito il presidente della Corte d’assise di Chieti, Guido Campli: l’imputato, in videoconferenza dal carcere di Frosinone, resta impassibile o quasi. Secondo i giudici, dunque, non merita alcuna attenuante il cinquantunenne responsabile dell’omicidio aggravato della madre Paola De Vincentiis (i due hanno lo stesso cognome), 69 anni, trafitta con 34 coltellate. La sentenza accoglie in pieno la richiesta del pubblico ministero Giancarlo Ciani, che ha condotto l’inchiesta dal principio, fin dalla mattina del delitto, avvenuto il 19 ottobre 2022 in una piccola casa di Bucchianico, al civico 4 di via Cappellina San Camillo.
«NON FU LEGITTIMA DIFESA»
È vero, la prima ad aggredire è stata la vittima. Ma – ha dimostrato l’accusa – quella donna era spaventata e disperata per le continue richieste del figlio, che pretendeva denaro per soddisfare i suoi vizi, dai viaggi esotici alle moto, passando per le cene al ristorante. La tesi sostenuta dal pm regge in toto, perché la Corte esclude che vi siano i presupposti della legittima difesa (e del relativo eccesso colposo) e sbarra anche la strada che porta all’omicidio preterintenzionale. In parole semplici, il senso del dispositivo può essere riassunto così: Cristiano ha sferrato quei fendenti non per salvare la propria vita, ma con la chiara finalità di toglierla alla madre.
LA REQUISITORIA
Il contenuto della perizia dello psichiatra Giovanni Battista Camerini, che viene ascoltato all’inizio dell’udienza, non lascia spazio a dubbi: l’imputato – pur avendo un livello intellettivo definito “borderline” – era pienamente capace di intendere e di volere al momento del fatto e, attualmente, è in grado di partecipare al processo in modo consapevole. Il pm Ciani, in 41 minuti di requisitoria, dà ordine agli elementi emersi durante il processo partendo dal racconto dei testimoni, che hanno riferito delle preoccupazioni di quella madre sfiancata dalle pressanti richieste di denaro. «Il giorno prima dell’omicidio», rimarca il pubblico ministero, «la vittima arrivò a dire alla sorella: “Quello mi ammazza”». Paola si rivolse anche al parroco del paese: «Chiese i soldi per la palestra del figlio, lo stesso parroco ci dice che lei piangeva ed era particolarmente turbata». Il movente economico è avvalorato anche dai due meccanici ai quali l’imputato si era rivolto per cambiare le gomme alla moto. «Entrambi confermano che la vittima era impaurita: a uno di loro chiese addirittura di mentire circa il versamento di un acconto per alcune lavorazioni da fare sulla moto del figlio. E il secondo meccanico racconta che De Vincentiis ha aggredito la madre al telefono. Queste gomme erano diventate una fissazione».
«MAGLIA SENZA LACERAZIONI»
Quanto alle fasi immediatamente precedenti alle pugnalate fatali, è da ritenere improbabile – secondo il pm – che Paola abbia accoltellato il figlio al petto: «Il primo carabiniere intervenuto ha riferito che non c’era alcuna lacerazione sulla maglietta dell’imputato». Cristiano, osserva la pubblica accusa, si sarebbe potuto allontanare agevolmente dopo aver disarmato la madre, che lo avrebbe colpito con il coltello e uno schiaccianoci. E invece «ha infierito con ferocia e con una ripetitività tale che l’esimente della legittima difesa non può essere assolutamente invocata, così come un suo eccesso colposo». Anche nei minuti successivi al delitto Cristiano ha mostrato «una lucidità assoluta e invidiabile, lontana da qualsiasi tipo di turbamento o pentimento». E in questo senso, dice sempre il pm, è emblematico il racconto di due compagni di cella che hanno ricevuto le confidenze dell’assassino, il quale continuava a rivolgere alla madre insulti irripetibili, arrivando ad affermare di voler oltraggiare la tomba della povera Paola urinandoci sopra. Di più. «Cristiano ha detto a uno dei due compagni di cella di voler uccidere la madre anche nell’aldilà», aggiunge l’avvocato Anna Olivieri, legale di parte civile, che rappresenta le due sorelle della vittima. «Paola non meritava questa fine: ha dedicato tutta la sua vita al figlio, in 50 anni ha cercato di accontentarlo in tutti i modi. Aveva paura, è stato un omicidio annunciato».
LA DIFESA
L’avvocato Gian Luca Totani, difensore dell’imputato, giunge a conclusioni diametralmente opposte e chiede l’assoluzione: «La legittima difesa trova riscontri in diversi dati oggettivi, a partire da quelli presentati dal Ris. De Vincentiis è stato aggredito a coltellate, di cui una al petto, durante il sonno, dopo aver assunto farmaci, regolarmente prescritti, che fungevano da “deprimenti del sistema nervoso centrale”. La madre, come confermato dal medico legale, aveva assunto da poco cocaina. I due compagni di cella raccontano bugie, poiché riferiscono di dettagli del procedimenti di cui non potevano essere ancora a conoscenza. Non c’è alcuna prova delle asserite richieste di denaro da parte dell’imputato. Nessun approfondimento è stato effettuato sull’aspetto economico».
LA SENTENZA
«Visti gli articoli 533 e 535...». Bastano queste poche parole – scandite dal presidente Campli, affiancato dal giudice Enrico Colagreco – per capire che la sentenza è di condanna. Carcere a vita, fine pena mai. «Giustizia è stata fatta», è il commento, che arriva tramite l’avvocato Olivieri, da parte delle sorelle della vittima, massacrata di coltellate e lasciata sul pavimento come uno straccio vecchio.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
«NON FU LEGITTIMA DIFESA»
È vero, la prima ad aggredire è stata la vittima. Ma – ha dimostrato l’accusa – quella donna era spaventata e disperata per le continue richieste del figlio, che pretendeva denaro per soddisfare i suoi vizi, dai viaggi esotici alle moto, passando per le cene al ristorante. La tesi sostenuta dal pm regge in toto, perché la Corte esclude che vi siano i presupposti della legittima difesa (e del relativo eccesso colposo) e sbarra anche la strada che porta all’omicidio preterintenzionale. In parole semplici, il senso del dispositivo può essere riassunto così: Cristiano ha sferrato quei fendenti non per salvare la propria vita, ma con la chiara finalità di toglierla alla madre.
LA REQUISITORIA
Il contenuto della perizia dello psichiatra Giovanni Battista Camerini, che viene ascoltato all’inizio dell’udienza, non lascia spazio a dubbi: l’imputato – pur avendo un livello intellettivo definito “borderline” – era pienamente capace di intendere e di volere al momento del fatto e, attualmente, è in grado di partecipare al processo in modo consapevole. Il pm Ciani, in 41 minuti di requisitoria, dà ordine agli elementi emersi durante il processo partendo dal racconto dei testimoni, che hanno riferito delle preoccupazioni di quella madre sfiancata dalle pressanti richieste di denaro. «Il giorno prima dell’omicidio», rimarca il pubblico ministero, «la vittima arrivò a dire alla sorella: “Quello mi ammazza”». Paola si rivolse anche al parroco del paese: «Chiese i soldi per la palestra del figlio, lo stesso parroco ci dice che lei piangeva ed era particolarmente turbata». Il movente economico è avvalorato anche dai due meccanici ai quali l’imputato si era rivolto per cambiare le gomme alla moto. «Entrambi confermano che la vittima era impaurita: a uno di loro chiese addirittura di mentire circa il versamento di un acconto per alcune lavorazioni da fare sulla moto del figlio. E il secondo meccanico racconta che De Vincentiis ha aggredito la madre al telefono. Queste gomme erano diventate una fissazione».
«MAGLIA SENZA LACERAZIONI»
Quanto alle fasi immediatamente precedenti alle pugnalate fatali, è da ritenere improbabile – secondo il pm – che Paola abbia accoltellato il figlio al petto: «Il primo carabiniere intervenuto ha riferito che non c’era alcuna lacerazione sulla maglietta dell’imputato». Cristiano, osserva la pubblica accusa, si sarebbe potuto allontanare agevolmente dopo aver disarmato la madre, che lo avrebbe colpito con il coltello e uno schiaccianoci. E invece «ha infierito con ferocia e con una ripetitività tale che l’esimente della legittima difesa non può essere assolutamente invocata, così come un suo eccesso colposo». Anche nei minuti successivi al delitto Cristiano ha mostrato «una lucidità assoluta e invidiabile, lontana da qualsiasi tipo di turbamento o pentimento». E in questo senso, dice sempre il pm, è emblematico il racconto di due compagni di cella che hanno ricevuto le confidenze dell’assassino, il quale continuava a rivolgere alla madre insulti irripetibili, arrivando ad affermare di voler oltraggiare la tomba della povera Paola urinandoci sopra. Di più. «Cristiano ha detto a uno dei due compagni di cella di voler uccidere la madre anche nell’aldilà», aggiunge l’avvocato Anna Olivieri, legale di parte civile, che rappresenta le due sorelle della vittima. «Paola non meritava questa fine: ha dedicato tutta la sua vita al figlio, in 50 anni ha cercato di accontentarlo in tutti i modi. Aveva paura, è stato un omicidio annunciato».
LA DIFESA
L’avvocato Gian Luca Totani, difensore dell’imputato, giunge a conclusioni diametralmente opposte e chiede l’assoluzione: «La legittima difesa trova riscontri in diversi dati oggettivi, a partire da quelli presentati dal Ris. De Vincentiis è stato aggredito a coltellate, di cui una al petto, durante il sonno, dopo aver assunto farmaci, regolarmente prescritti, che fungevano da “deprimenti del sistema nervoso centrale”. La madre, come confermato dal medico legale, aveva assunto da poco cocaina. I due compagni di cella raccontano bugie, poiché riferiscono di dettagli del procedimenti di cui non potevano essere ancora a conoscenza. Non c’è alcuna prova delle asserite richieste di denaro da parte dell’imputato. Nessun approfondimento è stato effettuato sull’aspetto economico».
LA SENTENZA
«Visti gli articoli 533 e 535...». Bastano queste poche parole – scandite dal presidente Campli, affiancato dal giudice Enrico Colagreco – per capire che la sentenza è di condanna. Carcere a vita, fine pena mai. «Giustizia è stata fatta», è il commento, che arriva tramite l’avvocato Olivieri, da parte delle sorelle della vittima, massacrata di coltellate e lasciata sul pavimento come uno straccio vecchio.
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