L'INTERVISTA

Alessia Barela: l’Abruzzo è il mio rifugio I ruoli che scelgo? Mai “comodi” 

La co-protagonista della fiction tv La porta rossa: natali a Chieti, mamma di Sulmona, vacanze a Scanno

CHIETI. «Si dice Abruzzo forte e gentile, spero che questo aspetto riguardi anche me, di sicuro di abruzzese ho la cocciutaggine. Invece da parte del nonno paterno credo di aver ripreso i tratti somatici spagnoli». Madre abruzzese, padre di origini spagnole, natali a Chieti ma cresciuta a Roma, l’attrice Alessia Barela è figlia soprattutto della metropoli, da cui quando può scappa per tornare alle origini. «In Abruzzo torno appena posso, ho una casetta a Scanno e mi piace immergermi nell’atmosfera romantica del paese, nel silenzio dei monti. Vado anche a Sulmona, dov’è nata mia madre. I nonni materni avevano uno storico albergo, l’hotel Traffic, dietro piazza XX Settembre». Talento versatile, un percorso attoriale oculato tra teatro, cinema, televisione, anche autrice (la web serie “Noi due"), Barela torna stasera in tv nella fiction Rai2 “La porta rossa”, dove interpreta Stefania Pavesi, la zia di Vanessa Rosic, Valentina Romani, che ha cresciuto la ragazza nascondendole la verità sulla madre.
Cosa ama del suo personaggio? E lei è per la bugia a fin di bene o la verità a tutti i costi?
Domanda difficile. Di solito io sono per la verità. Del personaggio di Stefania, una zia non una mamma, e questo mi rappresenta molto, amo il suo essere protettiva verso la nipote. È una donna indipendente, forte, che da sola si occupa di una ragazza non facile. Con Valentina Romani, nonostante la differenza d’età, è nato un legame bello e ancora oggi ci sentiamo spesso.
Non si tira indietro davanti a ruoli fuori schema, come nel film “Il ministro”. Cosa la guida nell’accettare o meno un ruolo?
Il fatto che un ruolo esista non in funzione di un altro, mi piace che un personaggio sia autonomo e non di servizio. Mi è capitato di interpretare anche quelli, certo, ma preferisco personaggi non piatti, che diano modo all’interprete anche di divertirsi a lavorare su cose che non gli appartengono.
Quali gli incontri formativi e professionali determinanti?
La scuola di teatro dell’argentina Beatrice Bracco e lo studio con Marisa Fabbri e Carlo Merlo, entrambi docenti all’Accademia D’Amico. Nel lavoro il regista Daniele Vicari, col quale ho recitato la prima parte da protagonista con Valerio Mastandrea in “Velocità massima”. E poi è stata importante la prima versione di “La Squadra”, girata a Napoli, accanto a Carpentieri, Bonetti, Wertmüller.
Un grande successo le due stagioni della fiction “Una mamma imperfetta”, in cui era Marta, diretta da Stefano Chiantini, abruzzese e coetaneo. Com’è andata sul set?
Mi sono trovata bene con lui, è molto bravo. Stefano aveva un compito difficile: sostituire il creatore della serie, Ivan Cotroneo, che stava montando e quindi non poteva girare, ed è toccato a lui dirigere noi 4(Anna Ferzetti, Lucia Mascino, Vanessa Compagnucci), tutte innamorate di Cotroneo.
Nel 2008 era tra i protagonisti di “Terapia d’urgenza”. Cos’è mancato a quel medical drama per diventare un prodotto di successo com’è poi stato “Doc”?
Argentero (ride). Forse non erano maturi i tempi. In quel momento alla gente non andava di vedere una fiction tv con malati, morti, ricoveri. Nel periodo del Covid, invece, coi telegiornali pieni di queste immagini, si è quasi cercato conforto nelle figure di medici e infermieri raccontate in una fiction. Eravamo così abituati a quanto mostrato dai notiziari che gli occhi interpretavano in un altro modo una serie ospedaliera.
Ha girato tre film con la regia di Maria Sole Tognazzi, “Passato prossimo, “Viaggio sola”, “Io e lei". Si diventa amiche in un ambiente competitivo?
Siamo molto amiche. Ho poche amiche attrici, con Francesca Figus e Monica Cervini (nel cast di “Noi due” ndc) siamo proprio sorelle, e tanti amici invece nel dietro le quinte. Mi annoio a stare tra attori perché finiamo col parlare solo di lavoro. Ho letto un libro di Anna Magnani in cui lei scrive: le attrici si telefonano per controllarsi.
Una riflessione finale?
In questi giorni riflettevo sulle nuove generazioni di attori e attrici, talenti veri e molto più coraggiosi di noi nel rifiutare una parte o denunciare un abuso. Contribuiranno a cambiare in meglio il nostro ambiente. Prima se rifiutavi una parte o ti ribellavi ti facevano fuori. Da ragazzina andai via da un provino con un regista che mi torturava con domande personali sempre più invadenti. La responsabile del casting non mi chiamò più.