Christopher Reeve, Superman sullo schermo e supereroe nella vita
A vent’anni dalla morte esce il docufilm sull’attore Nel 1995 l’incidente che lo paralizzò dal collo in giù
ROMA. «Sì, mio padre era il mio Superman. Penso che molte persone vedano i loro papà come Superman. A scuola i bambini che avevano visto il film e sapevano che lo era davvero, quando andavamo al parco giochi lo circondavano e volevano un autografo o magari scattare una foto. Poi dopo aver avuto l'incidente si è trovato a far parte di una comunità che non avrebbe certo scelto, ma anche lì ha trovato la sua forza. Quello è stato, credo, l'inizio della sua trasformazione in una specie di supereroe della vita reale, che non aveva bisogno di una caverna, non aveva bisogno di poteri, niente del genere». Così Matthew Reeve, il figlio più grande di Christopher Reeve, oggi a Roma insieme a Ian Bonhôte e Peter Ettedgui registi di Super/Man: The Christopher Reeve Story, documentario dedicato all'attore.
Il film di Alice nella Città che dal 10 ottobre, esattamente a vent'anni dalla morte dell'attore, arriva in sala con Warner Bros Pictures racconta di un uomo pieno di coraggio, più nella vita che sullo schermo, un autentico Superman che nell'affrontare la sua tragedia fa impallidire il supereroe dei fumetti statunitensi pubblicati da DC Comics. Prima attore sconosciuto aspirante a ruoli shakespeariani, poi improvvisamente icona del cinema grazie alla sua interpretazione di Clark Kent/Superman in quattro film. Poi un'altra dozzina di ruoli prima di rimanere vittima, lui che era un supersportivo, di un incidente a cavallo nel 1995, che lo lasciò paralizzato dal collo in giù. Dopo essere diventato tetraplegico, Reeve, pur del tutto immobilizzato, non si fermò mai e divenne un attivista nella ricerca di una cura per le lesioni del midollo spinale, nonché un appassionato sostenitore dei diritti e della cura dei disabili. Il documentario offre un ritratto intimo dell'attore, con immagini inedite, interviste ai figli William, Matthew e Alexandra e testimonianze di attori colleghi e amici di Reeve come Susan Sarandon, Glenn Close e Robin Williams, che era per Reeve come un fratello.
Ieri a Roma la proiezione di gala con i due registi e il figlio Matthew: un’occasione per far conoscere al pubblico italiano la Christopher & Dana Reeve Foundation, dedicata alla cura delle lesioni al midollo spinale attraverso la promozione di ricerche innovative e il miglioramento della qualità della vita delle persone e delle famiglie affette da paralisi. E proprio sulla fondazione, spiega Matthew: «Oggi ha donato circa 150 milioni di dollari per la ricerca e poi altre decine di milioni per i programmi di qualità della vita, che era davvero l'obiettivo principale. Voglio dire, lo slogan della fondazione è: “Vogliamo fare la cura di domani oggi”. Per quanto riguarda l'appoggio di Hollywood alla fondazione, se pensi a Robin Williams e Glenn Close», aggiunge, «sono stati sempre vicini a papà e sostenitori e attivisti per l'ambiente e per il finanziamento delle arti. Penso comunque che la cosa più importante sia ricordare il discorso che mio padre ha tenuto agli Oscar, dove tutto andò alla grande. Quella, tra l'altro, fu la sua prima apparizione pubblica dopo l'incidente e mi dispiace che per brevità non ho potuto inserirlo nel film per intero. Lì mio padre», conclude Matthew, «raccontava del potere del cinema e di come questo dia il suo meglio quando informa mentre intrattiene».
Il film di Alice nella Città che dal 10 ottobre, esattamente a vent'anni dalla morte dell'attore, arriva in sala con Warner Bros Pictures racconta di un uomo pieno di coraggio, più nella vita che sullo schermo, un autentico Superman che nell'affrontare la sua tragedia fa impallidire il supereroe dei fumetti statunitensi pubblicati da DC Comics. Prima attore sconosciuto aspirante a ruoli shakespeariani, poi improvvisamente icona del cinema grazie alla sua interpretazione di Clark Kent/Superman in quattro film. Poi un'altra dozzina di ruoli prima di rimanere vittima, lui che era un supersportivo, di un incidente a cavallo nel 1995, che lo lasciò paralizzato dal collo in giù. Dopo essere diventato tetraplegico, Reeve, pur del tutto immobilizzato, non si fermò mai e divenne un attivista nella ricerca di una cura per le lesioni del midollo spinale, nonché un appassionato sostenitore dei diritti e della cura dei disabili. Il documentario offre un ritratto intimo dell'attore, con immagini inedite, interviste ai figli William, Matthew e Alexandra e testimonianze di attori colleghi e amici di Reeve come Susan Sarandon, Glenn Close e Robin Williams, che era per Reeve come un fratello.
Ieri a Roma la proiezione di gala con i due registi e il figlio Matthew: un’occasione per far conoscere al pubblico italiano la Christopher & Dana Reeve Foundation, dedicata alla cura delle lesioni al midollo spinale attraverso la promozione di ricerche innovative e il miglioramento della qualità della vita delle persone e delle famiglie affette da paralisi. E proprio sulla fondazione, spiega Matthew: «Oggi ha donato circa 150 milioni di dollari per la ricerca e poi altre decine di milioni per i programmi di qualità della vita, che era davvero l'obiettivo principale. Voglio dire, lo slogan della fondazione è: “Vogliamo fare la cura di domani oggi”. Per quanto riguarda l'appoggio di Hollywood alla fondazione, se pensi a Robin Williams e Glenn Close», aggiunge, «sono stati sempre vicini a papà e sostenitori e attivisti per l'ambiente e per il finanziamento delle arti. Penso comunque che la cosa più importante sia ricordare il discorso che mio padre ha tenuto agli Oscar, dove tutto andò alla grande. Quella, tra l'altro, fu la sua prima apparizione pubblica dopo l'incidente e mi dispiace che per brevità non ho potuto inserirlo nel film per intero. Lì mio padre», conclude Matthew, «raccontava del potere del cinema e di come questo dia il suo meglio quando informa mentre intrattiene».