Lella Costa

INTERVISTA / LELLA COSTA

«Danzo in scena con 93 donne geniali e felici» 

“Se non posso ballare non è la mia rivoluzione” il titolo del monologo che l’attrice porta a Pescara, questa sera (ore 21), al Teatro Massimo

PESCARA. C’è Marie Curie, Nobel per la fisica che ha scoperto il radio e c’è Mary Anderson che ha inventato il tergicristallo, c’è il canto poetico di Saffo e di Emily Dickinson come il grido di libertà di Angela Davis; più in là ecco Olympe De Gouges che scrisse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina e accanto Lillian Gilbreth a cui si deve la pattumiera a pedale, poi Martha Graham che fece scendere la danza dalle punte e Pina Bausch che raccontò tante vite danzando. Entrano “in gruppo”, scambiandosi idee formidabili per migliorare il vivere quotidiano, nel gran salone delle feste e si aggirano come fossero, finalmente, felici tutte, per dirla con Elsa Morante che è lì con loro. E ballano. Ballano Ingrid Bètancourt, Hannah Arendt, Annie Besant, Grazia Deledda, Iolanda D’Aragona, Anna Frank, Eloisa, Artemisia Gentileschi e molte, molte altre.
Sono 93 le donne «importanti nella storia del mondo» che Lella Costa porta a teatro nel suo nuovo faticosissimo eppure lieve monologo teatrale “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione” che andrà in scena questa sera (19 febbraio) al teatro Massimo di Pescara alle ore 21 per la stagione di Baltimore Production.

Serena Dandini
Ispirato a “Il catalogo delle donne valorose” di Serena Dandini, con la drammaturgia e la regia di Serena Sinigaglia, la scrittura scenica di Lella Costa e Gabriele Scotti, lo spettacolo cita nel titolo l’autobiografia dell’anarchica russa Emma Goldman (1869 – 1940), “Vivendo la mia vita”. Anche a lei dà voce Lella Costa, ovviamente, che entra come le altre chiamate con una citazione, un accento, una smorfia, un lazzo, una canzone, una strofa, un ricordo, una poesia, un gemito, una risata. O solo con il nome, perché per qualcuna non serve aggiungere altro. Una al minuto. Tante eppure non ancora tutte «le valorose».
Le donne sono spesso, anzi spessissimo al centro della suo lavoro, ritiene più necessario dare voce alle donne o più interessante?
Necessario lo è sempre e interessante direi pure. Questo lavoro a differenza degli altri dà voce e ricordo a 93 donne importanti nella storia del mondo, e sono solo una minima parte delle donne importanti nella storia dell’umanità. Vengono raccontate senza lagne, con leggerezza e passione.
C’è qualcuna tra le donne che porta in scena che è la sua preferita, o che le è “antipatica”, è perché?
Non è rilevante. In queste scelte conta l’oggettività, in scena gioco con l’oggettività. Forse Agatha Christie non è tra le scrittrici che preferisco, ma poi è un fatto che abbia venduto due miliardi di libri. Sì con qualcuna ho forse più affinità considerando che attraversiamo un arco temporale che va da Saffo a Daphne Anne Vella Caruana Galizia, la giornalista uccisa a marzo del 2017. Con alcune è più facile e immediato trovare punti affini, ma sono felice di portarmele appresso tutte queste ragazze, non ce n’è nessuna che non stimo o di cui non riconosca valore.
Lei ha fatto della voce il suo strumento espressivo massimo, dal teatro al doppiaggio in cui spazia da Emergency a spot pubblicitari. Come ci ha lavorato e cosa è per lei la voce?
È uno strumento per il quale intanto sono grata alla sorte, perché sono nata con questo timbro gradevole, quindi sono riuscita a farne uno strumento di lavoro, soprattutto a teatro, e poi in tutte le diverse declinazioni... Quando mi dicono che quello che scrivo ha la mia voce non so se è un complimento, ma sono contenta, perché io scrivo per “dire”, per essere “sentita” e mi fa piacere che emerga la parola. Mi è accaduto anche con il libro su Edith Stein , “Ciò che possiamo fare”: è stato un esperimento di farla mia con la voce, ho portato un pezzo di me.
Racconta le donne in scena e su carta, impossibile non parlare di femminismo: come è andata quella battaglia, che bilancio farebbe guardando le donne oggi?
Il femminismo è stato talmente fondativo che non esiste per me sentirmi “ex”, è stata una scelta di campo fondamentale. Le donne oggi spero che trovino il loro modo di vivere e interrogarsi sui ruoli, porsi delle domande su quello che si è ereditato. Guai se si fossero fermate a quello che zie e mamme hanno apportato al mondo. È una continua evoluzione.
L’ironia è un’altra sua “arma”. Cosa è l’ironia per lei?
Come si evince da “Se non posso ballare”, Emma Goldman che era nella rivoluzione russa è stata la prima a rendersi conto che “il socialismo diventa una maledizione, se non posso ballare”, che è un punto di vista fortissimo, come volere “il pane e le rose”: certe donne hanno un diverso passo nel mondo che non sempre è concesso loro di avere, io posso con l’ironia che mi sembra concessa raccontare donne di grande talento, è una chiave di lettura, nel massimo rispetto: l’ironia è dichiarazione di identità, ma senza prevaricare la persona: non sono personaggi fittizi o teatrali, ma persone vere.
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