Giulio Scarpati ricorda: venticinque anni fa ero un medico in famiglia 

La fiction ancora detiene il record di longevità per l’Italia L'attore in scena tra “Eduard e Dio” di Kundera e “Billy Elliot”

ROMA. «La fiction? Ne guardo tanta e sono molto curioso dei nuovi Paesi emergenti, come la Corea o l'Europa dell'Est. Mi ricordano un po’ l'Italia uscita dalla guerra, che era una fucina di idee. Avevamo una potenza espressiva enorme. Ecco, dovremmo ritrovare un po’ quella potenza di racconto».
A parlare è Giulio Scarpati, attore di tanto cinema, teatro, tv e protagonista della serie che detiene ancora il record di fiction più longeva della fiction italiana: Un medico in famiglia, con il suo intramontabile Lele Martini e Lino Banfi nei panni di nonno Libero (ma anche Claudia Pandolfi e Lunetta Savino) che quest'anno compie 25 anni. La prima puntata andò infatti in onda il 6 dicembre 1998 su Rai1 e ne seguirono, in tutto, dieci stagioni, ancora oggi spesso in replica. «Venticinque anni, di già?», sorride Scarpati. «Quando mi arrivò la proposta ero in Amazzonia, dall'altra parte del mondo. Stavo girando una bellissima storia, La casa bruciata di Massimo Spano, con le musiche di Ennio Morricone. Mi chiamò Carlo Bixio, un grande produttore che non c'è più. “Ho una nuova serie ispirata a un format spagnolo”, mi dice. Accendo la tv e mi ritrovo davanti l'originale. Non potevo non prenderlo come un segno del destino. Poi lessi la sceneggiatura di Paola Pascolini: era pazzesca, si rideva in ogni scena. Ricordo che molti colleghi al tempo mi dicevano: quattordici mesi di riprese? Ma sei matto? Lascia stare. Ma più leggevo il copione più me ne innamoravo. Il dottor Lele Martini, il mio personaggio, era bellissimo. E il ritmo, le battute, la storia, funzionava tutto».
Ma è più croce o delizia avere un successo così importante e diventare per tutti il “medico in famiglia”? «È una grande gioia quando incontro persone che mi raccontano di essere cresciute con quelle storie. E una grande sorpresa quando capisco che i più giovani l'hanno vista di recente nelle repliche che continuano ad andare», risponde. «Entri nel loro immaginario, un po’ come un personaggio dei fumetti. Poi, a un certo punto, però, devi cambiare. Con Lino Banfi ci siamo visti tante volte in questi anni. Sarebbe bello lavorare ancora insieme, ma il motivo per cui io ho scelto questo mestiere è affrontare sempre vite e storie diverse. Dovevo allontanarmi da quel ruolo e da quelli, molto simili, che mi venivano offerti».
È così che è arrivato, ad esempio, Jackie, il tormentato papà di Billy Elliot nel musical che Massimo Romeo Piparo ha tratto dal film di Stephen Daldry del 2000. Lo spettacolo ha riportato Scarpati al musical ventidue anni dopo Aggiungi un posto a tavola di Garinei e Giovannini e l’attore sarà in tournée anche la prossima stagione.
E poi Eduard e Dio, testo tratto da Amori ridicoli di Milan Kundera, che Scarpati porterà al Festival della lettura di Salerno il 23 giugno (e che riprenderà poi in autunno). «È un racconto molto divertente», anticipa. «Si narra la storia di un giovanotto che nella Cecoslovacchia comunista dei primi anni Sessanta trova lavoro come insegnante, grazie alla raccomandazione di una direttrice, zitella, fedele al regime, ma sensibile al fascino giovanile. Qui lui si innamora di una ragazza molto religiosa e per tentare di sedurla si finge molto devoto anche lui, nella speranza di aprire un varco nel muro di divieti imposti dal suo Dio. Viene scoperto e lo mettono sotto processo. Si ride molto». E la tv? «Tornerò», assicura, «c'è un progetto bellissimo, ma si sta ancora scrivendo».