Melozzi: «Il saltarello è troppo difficile ma semplificato è meglio della pizzica»

Il maestro che ha ideato e condotto la Notte dei serpenti: «Anche l’abruzzese va reso più televisivo. I costi troppo alti? Abbiamo subìto un taglio del 60%, ingiusti gli attacchi di D’Amico e della sinistra»
L’esuberanza dialettica e la gestualità fisica sono i suoi marchi di fabbrica. E giù una serie di proposte: lezioni di ballo per imparare il saltarello, semplificare il linguaggio abruzzese per farlo comprendere a tutti, prediligere la comunicatività alla tecnica musicale. Ha le idee chiare il maestro Enrico Melozzi. Le sue dichiarazioni, per niente tenere nei confronti anche di una certa politica, sono destinate a far discutere. La Notte dei serpenti, dopo gli ottimi risultati di ascolto, galleggia nell’immaginario collettivo.
Maestro, cominciamo dal successo televisivo della Notte dei Serpenti che è stato innegabile, la Rai canta vittoria, l'Abruzzo è finito in vetrina, è la strada giusta per un marketing territoriale incisivo questo?
«Assolutamente sì, credo che a noi sia mancato negli anni proprio questo. Faccio qualche esempio: partiamo dall’Emilia Romagna; quanti spunti televisivi ha avuto, dal maestro Malpassi che insegnava la danza e il liscio a Brigitte Bardot a Federico Fellini e a Raul Casadei. Erano tutti personaggi televisivi, cinematografici, che nei mass media spopolavano e creavano ricchezza a quel territorio. A Roma, quanti romani, da Alberto Sordi a Carlo Verdone, esprimevano la loro romanità e la trasmettevano attraverso il cinema, la televisione, eccetera, in maniera quotidiana».
E l’Abruzzo?
«Ci vorrebbe un Benigni, e infatti spesso nelle mie interviste ho detto, “a noi in Abruzzo chi manca?”. Un comico da cinema – non televisivo, che televisivo ce l'abbiamo pure avuto – ma comico cinematografico nuovo che ti sbanca il botteghino a Natale con il dialetto abruzzese. A noi la Film commission è mancata tanto, ma adesso è diverso. È vero, la Film commission fa vedere il territorio, però qua stiamo andando oltre, stiamo portando le nostre radici in tv. Non può bastare uno spottino di 30 secondi, che costa 3 milioni di euro, perché ricordiamoci che in passato sono state fatte campagne televisive così».
Qual è la ricetta giusta?
«Noi stiamo facendo un'operazione completamente diversa, ragioniamo per un anno sulle nostre radici e poi le sintetizziamo in un concerto televisivo di tre ore, che comunque è una lunghezza enorme, dove andiamo a raccontare, con l'aiuto anche di personaggi e ospiti che vengono a sostenerci e a tenere alto l'audience, cose che in televisione non sarebbero mai potute andare, fino all’altro ieri».
Proviamo a renderlo più chiaro?
«È un'operazione complicatissima di traduzione nel linguaggio televisivo, di un concetto molto difficile da raccontare. Finora era talmente di nicchia che neanche noi abruzzesi le sapevamo certe cose, erano chiuse dentro una irraccontabilità congenita. Non ci siamo saputi raccontare, non abbiamo avuto personaggi che andavano in televisione. Quando veniva la tv, era solo per casi di cronaca nera, omicidi o alluvioni. Quando mai siamo andati sulle cronache nazionali perché abbiamo fatto una cosa culturalmente interessante?».
La musica popolare abruzzese potrà diventare quello che la taranta è per la Puglia?
«Allora, i dati televisivi sono confortanti perché noi comunque la taranta l'abbiamo superata negli ascolti. Significa che la varietà della nostra musica è sicuramente più allettante della musica della taranta, ma qual è il vantaggio della taranta? Che il modo di ballare quella musica è più semplice, è più divulgabile».
E allora cosa si può fare?
«A noi manca uno studio severo, quindi così come io ho portato avanti uno studio sulla musica, altrettanto deve essere fatto da altri sul saltarello. Bisogna tradurre il nostro ballo in qualcosa di commerciale. Cioè far sì che quel balletto, che è complicatissimo e uno su un milione lo sa ballare, diventi una specie di danza da villaggio turistico».
Come la pizzica?
«Ma quella non è la vera pizzica, è la riduzione commerciale da villaggio turistico della pizzica. È parecchio più semplice della nostra, ma la gente segue i corsi. Io chiedo, anche tramite questa intervista, di stanziare un fondo per finanziare lezioni di saltarello in tutto l'Abruzzo, ma anche fuori, in modo tale che la gente lo sappia ballare».
Può bastare?
«Sì, perché se la gente lo sa ballare, si sente più coinvolta. Il ballo è proprio quello che ci manca in questo momento. Tant'è vero che io sto prendendo tempo e mi servo dell’etoile della Scala o di Vienna, perché voglio raccontare un Abruzzo diverso rispetto a quello che è stato sempre sotto un tappeto, sotto terra. Adesso io sarò fortissimo, piglio un coro da applausi, faccio vedere i musicisti migliori, i danzatori più bravi».
E questo tentativo dà i suoi frutti?
«Ho elevato l'Abruzzo, ho preso le Farfalle olimpiche, che sono proprio il top del top della danza sincronizzata, cioè più sincronizzate delle ballerine del Bolshoi per dare bellezza, comunicare un potere, anche una potenza a livello artistico, che io volevo per raccontare il territorio. Però bisogna insegnare alla gente a ballare il saltarello e questo ballo è difficile».
Un po’ come il linguaggio, una sorta di esperanto dei vari dialetti abruzzesi?
«Stiamo inventando un abruzzese televisivo, che poi non è un abruzzese giustamente purissimo, però racchiude un po’ tutto. È la stessa cosa che facevano Franco Franchi e Ciccio Ingrassia quando parlavano un siciliano che non era né di Palermo, né di Enna, né di Trapani, era un siciliano televisivo. Quindi bisogna inventarsi un balletto televisivo, mi sembra chiara questa cosa».
In questa serata poi ha valorizzato molti artisti abruzzesi, da quelli già blasonati come Piero Mazzocchetti agli emergenti come Filippo Graziani, altro talento assoluto. Ma quanti talenti nascosti abbiamo che possono ancora emergere?
«Io sto facendo delle call e rispondono circa 4-500 ragazze ogni anno, di cui io ne seleziono un po’. E la cosa è veramente impressionante, c'è tanta voglia di andare in televisione. I veri grandi talenti ci sono, ma vanno scovati e sono sicuramente più di quelli che poi io riesco a utilizzare come solisti».
Quale criterio usa per la scelta?
«Ogni tanto metto sul palco due, tre o quattro ragazze che cantano, ma non è detto che siano le migliori. Il mio è un lavoro molto complicato, perché io scelgo la voce e il volto giusto per quella canzone. La traduzione televisiva è un meccanismo un po’ strano. Non basta essere migliori, non basta essere tecnicamente più pronti. Quando si lavora con me non si deve essere tecnicamente al cento per cento, ma avere quella capacità di comunicare un'emozione».
Come la ragazzina che ha cantato Rondinella?
«Esatto, preferisco una ragazzina di 14 anni che oggettivamente non è ancora una cantante, ma rappresenta il personaggio che a me serve per raccontare la storia di un fragile amore».
E qui Melozzi non lesina una profonda critica alla gestione del potere e dell’arte in Abruzzo.
«Purtroppo la nostra terra è molto retrograda dal punto di vista artistico. Vive ancora di dogmi, comandano dei personaggi a livello artistico a cui io non affiderei neanche le lezioni di solfeggio del mio peggior nemico, perché hanno proprio confuso la funzione della musica. Ci sono tanti tecnici ma pochissimi artisti in Abruzzo, perché abbiamo fatti scappare tutti quelli che avevano un pensiero artistico, una visione artistica. Dentro i conservatori, nei luoghi di potere culturale, non ci sono artisti».
Sono accuse pesanti, non crede?
«Dico la verità, è un peccato, perché bisogna invece prendere i più pazzi, i più visionari e riconoscere – e qua bisognerebbe aprire una discussione politica molto approfondita – perché proprio il personaggio più di destra arrivato da noi in Abruzzo (il presidene della Regione, Marco Marsilio ndr) ha scelto un personaggio più di sinistra possibile, come me, per gestire una manifestazione del genere».
Non le sembra una crociata un po’ ingenerosa contro la precisione stilistica musicale?
«Il concetto è complesso. C’è gente in Abruzzo che studia quattrocento ore al giorno, che esegue Franz Liszt alla perfezione, ma non serve a niente. Non è un artista. L'artista non è solo quello che studia il pianoforte. L'artista è quello che tocca un tasto, sbaglia tre note e tu ti metti a piagne. Quelli servono a noi. E sono sicuro che quell'immagine della rondinella con la luna di Rocca Calascio dietro che sale, che sorge, e questa ragazzina che canta la Rondinella è un messaggio un milione di volte più potente di un'intera stagione dell'orchestra Tal dei tali, che sta lì a fare i concerti e non viene considerata da nessuno. Quando invece una ragazzina ti spezza il cuore se ne parla in tutta l'Italia. Quello dobbiamo fare noi, uscire dal tecnicismo e entrare nelle emozioni».
Abbiamo scoperto che ha anche una bella voce, ma cosa pensa dei giovani trapper che cantano con l'autotune?
«Che penso? È una forma di comunicazione che passa attraverso la musica. La musica in passato è stata ospitale nei confronti di tanti fenomeni comunicativi che non erano prettamente musicali».
A chi si riferisce?
«Io quando ero ragazzino pensavo di Guccini: “le canzoni tue sono tutte uguali, hai la R moscia, ma dove ti presenti, ma perché non scrivi un libro?”. Io ho sempre detto questa cosa. E oggi lo dovrei dire a tutti i trapper, guardate, non sapete cantare? Invece dico no, così come Guccini ha avuto modo di esprimersi all'interno di questo grande contenitore che è la musica leggera, dove c'è spazio per tutti, c'è spazio per questi poeti urbani moderni che si esprimono giustamente a modo loro».
Parliamo di della sua passione per Pino Daniele.
«Sono uno molto attento alle armonie. Per me Pino Daniele ha sempre utilizzato nelle sue canzoni delle armonie così raffinate, così belle, così studiate, delle melodie ben scritte, una voce fantastica e un modo di scrivere testi impressionante per un ragazzino di quell'età. Ricordiamoci che quando ha composto Terra mia, aveva meno di 18 anni».
A un ragazzo che voglia iniziare a cantare che consiglio si sente di dare?
«Studia uno strumento, anziché studiare canto. Studiarlo sì, ma da solo, non andare a lezione, sennò ti insegneranno a cantare in un modo che non è il tuo. Poi consiglio di non cantare in inglese. Ma che c... ti canti in una lingua che manco capisci? Canta come mangi, canta abruzzese, un canto più potente».
Lei ha diretto i Måneskin a Sanremo, le sono molto legati. Torneranno insieme?
«Certo, penso fra poco».
Lei sarà di nuovo l'arrangiatore dei loro pezzi?
«Quando c’è un'orchestra, finora hanno sempre chiamato me. Io sono sempre a disposizione, mi farebbe piacere continuare a lavorare con loro ovviamente. Anche se il mondo del pop è veramente molto faticoso, difficile, duro».
Il numero 100 è una costante di alcuni suoi concerti.
«Nel castello di Celano il 2 agosto ho diretto 100 fisarmoniche, nel 2012 ho lanciato i 100 violoncelli, una volta ho fatto un concerto di 100 organetti, quest'anno avevo 100 ragazze abruzzesi sul palco. È un numero che impressiona molto».
Una domanda un po’ più polemica. Qualcuno ha criticato l'eccessivo costo dell'evento.
«Noi abbiamo subìto il 60% di tagli della Regione, 5-600mila euro, e nessuno lo ha mai detto. Ma io non mi sono messo a strillare che me ne andavo nelle Marche. Mi sono rimboccato le maniche per trovare gli sponsor. Hanno rotto le p... da tutte le parti e hanno scritto che ho preso i soldi. Se sei forte ti sbatti, trovi una soluzione. La Rai ci ha aiutato e ci ha sollevato da un sacco di spese. Abbiamo trovato sponsor esterni».
E qui parte una durissima critica a Luciano D’Amico, che ha contestato la decisione della Regione di finanziare in maniera consistente la Notte dei serpenti.
«Ma di che stiamo parlando? Chi fa queste cose lo fa con il chiaro intento di rompere le uova nel paniere, di suicidarsi? Noi non ci dimentichiamo che D'Amico, la sinistra, hanno fatto campagna elettorale massacrando l'Abruzzo quotidianamente in televisione. Questa è la strategia per prendere il potere, massacrare. Invece noi artisti stiamo investendo per migliorarlo, per farlo vedere bello e loro per prendere il potere lo massacrano tutti i giorni».
Converrà che non sono tutte rose e fiori e che la critica politica fa parte della democrazia.
«Ma tutte le c..., le invenzioni di un Abruzzo alla canna del gas sono inaccettabili. Tutto questo mentre noi invece stiamo facendo il lavoro di mostrare la parte più bella della nostra regione, di mostrare quanto siamo bravi, incoraggiare l'Abruzzo. E questi arrivano e dicono quello non va bene, quello è uno schifo, soldi buttati. Mi avete rotto il c... Questo modo di fare non è corretto. Non c'è etica dietro. È stato deciso che quei soldi pubblici andavano alla Notte dei serpenti? Punto. Adesso sfruttiamoli e facciamoli rendere meglio. Non che sei lì a rovinare tutto, piuttosto chiamami e dammi le dritte per migliorare. La democrazia rappresentativa è stata pensata per un livello di politici più alto, perché fare l'opposizione così è una cosa inutile».
Parliamo della prossima Notte dei Serpenti? Ha già un'idea su qualcosa?
«Non ho idea perché voglio fare prima una riunione con la Rai e capire cosa hanno in mente anche loro. Penso che comunque ci saranno delle belle evoluzioni, e spero in un miglioramento».
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