Nicola Piovani a Celano, l’intervista: «La musica è da sempre presente nella mia vita»

5 Agosto 2025

Il grande compositore in concerto stasera al Castello Piccolomini: «I popoli martoriati più che di note hanno bisogno di aiuti». Un evento del Festival AdArte, diretto da Davide Cavuti

CELANO. Ha raccontato con poesia e maestria le emozioni più profonde del cinema e della vita. Nicola Piovani, compositore, direttore d’orchestra e premio Oscar, ha trasformato le note in preziosi racconti, creando colonne sonore indimenticabili che hanno accompagnato opere di registi come Federico Fellini, Marco Bellocchio, i Fratelli Taviani. Questa sera, alle ore 21.30, il pianoforte di Piovani riempirà di note il Castello Piccolomini di Celano con lo spettacolo concerto Note a Margine, evento del cartellone del Festival AdArte, diretto dal compositore e regista Davide Cavuti.

Maestro, quando ha capito che la musica sarebbe stata la sua vocazione?

«Non lo so: fin da bambino, non ricordo un giorno in cui nella mia vita non ci sia stata, in un modo o in un altro, la musica. Ma ricordo bene il giorno in cui ho capito che, in un modo o in un altro, la musica sarebbe stato il mio lavoro. Avevo poco più di vent’anni e mi resi conto che avrei vissuto del mio lavoro di musicista. Magari poco, ma quel che riuscivo a guadagnare con la musica mi sarebbe bastato, non avrei dovuto fare altri lavori, solo note musicali. In un modo o nell’altro».

E che carriera! Ha lavorato con grandi registi come Fellini, Benigni, Bellocchio: cambia il suo approccio a seconda del regista o del progetto?

«Il regista è l’autore di un film. Quello che ne detta la poetica. Il nostro lavoro è dare a quella poetica un corpo sonoro. Per fare musica nel cinema, diceva Federico Fellini, la prima dote di un compositore dev’essere l’elasticità».

Lei ha suonato la Pietà in Terra Santa ventuno anni fa, come tentativo di pacificazione di due popoli, quello ebreo e quello palestinese. Ritiene che oggi la musica possa contribuire a costruire la pace?

«Tutti i gesti degli uomini di buona volontà possono contribuire al cammino verso la pace. Ma oggi i martoriati popoli di Gaza, di Kiev, del Sudan, più che di musica, hanno bisogno di aiuti pratici, di soluzioni; insomma di politica. Noi possiamo solo chiamare i criminali di guerra col loro nome, ad alta voce».

E si respira lo stesso afflato anche nella colonna sonora del film La vita è bella di Roberto Benigni, per il quale ha vinto l’Oscar. Che significato ha avuto per lei quel premio?

«I premi sono anche, in parte legati alla casualità, alla fortuna. Ho avuto molta fortuna a trovarmi dentro un film di valore gigantesco, di un coraggio raro. Un film amatissimo nel pianeta. Di conseguenza anche le mie musiche hanno ricevuto particolare attenzione. I premi danno gioia, e ti guadagnano anche più rispetto e fiducia nel mondo, nel mio caso il mondo della musica».

Curiosa l'esigenza di dover chiarire di non essere lo pseudonimo del maestro Ennio Morricone. Che rapporti ha avuto con lui?

«Morricone è stato per me prima un maestro paterno, poi un collega generoso e, negli ultimi anni, un amico prezioso, generoso. Condividevamo molti pensieri, compreso il tifo per la Roma».

Invece la collaborazione con Fabrizio De André come nacque?

«Nacque casualmente: lui ascoltò un disco che avevo arrangiato – l’unico allora. Mi chiamò e mi propose di arrangiare il suo disco su Spoon River. Ma, appena abbiamo cominciato a conoscerci, mi ha proposto di scrivere le musiche per le sue canzoni».

Qual è stato, invece, il progetto che più l’ha cambiata come compositore?

«Un concerto per violoncello e orchestra intitolato Il canto dei neutrini. È la mia partitura che considero più riuscita. Mi ha aperto nuove strade».

Sul suo sito c’è scritta la frase: il teatro è il linguaggio del futuro. L’affascina la composizione per il teatro?

«È un epoca in cui il videolinguaggio dilaga, in cui le videosequenze ci circondano, possiamo vederle ovunque, sui tablet, sugli schermi video ormai onnipresenti, anche nelle toilette degli aeroporti; un tempo in cui le immagini sono facilmente manipolabili, truccabili, non testimoniano più niente: in un tempo così chiudersi in un teatro insieme ad altri spettatori in carne ed ossa dove artisti in carne ed ossa fanno prosa, musica, danza o qualunque altro spettacolo è prezioso, insostituibile, destinato a crescere. Quando ho scritto quella frase vent’anni fa sembrava una provocazione, un paradosso. Ora è realtà quotidiana, sotto gli occhi di tutti».

Ecco, la tecnologia appare sempre più invasiva: lei compone sempre al pianoforte o si affida anche alla tecnologia?

«La mia partenza è sempre il pianoforte, la carta pentagrammata, la matita e la gomma. Dopo la prima stesura lavoro con i computer e con tutte le preziose macchine che la tecnologia ci mette a disposizione».

Che ruolo ha oggi la musica in un mondo così complesso e abitato dalla tecnologia, dall’intelligenza artificiale?

«L’intelligenza artificiale, come tutte le invenzioni tecnologiche può essere usata a fin di bene o a fin di male: dalla lama all’energia atomica, tutte le scoperte possono essere usate dagli uomini di buona volontà o cadere in mano a Satana. La scoperta del fuoco ha dato calore, vita e benessere all’umanità. Ma è anche servita ad accendere il rogo di Giordano Bruno».

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