Addio padre Quirino L’abbraccio della città al frate degli ultimi
L’arcivescovo D’Angelo nell’omelia ricorda il francescano: «Attraverso di lui Dio si è fatto presente a tanti di noi»
L’AQUILA. Un abbraccio. Un lungo abbraccio e un grazie infinito. Ieri mattina l’ultimo saluto a padre Quirino Salomone, il frate degli ultimi, è stato venato da commozione, ricordi, nostalgia ma soprattutto dalla consapevolezza che la città ha perso un uomo, prima ancora che un religioso, a cui L’Aquila deve molto. Forse solo ora che ha lasciato la vita terrena anche quelli che fino a pochi giorni fa ne parlavano storcendo un po’ il muso hanno preso atto dei tanti tesori, materiali e spirituali, che padre Quirino ha donato a singole persone e all’intera comunità.
lacrime e preghiere
Intorno alla bara di legno chiaro, posata in fondo alla scalinata che porta all’altare della basilica di San Bernardino, tanta gente ha sostato e pregato. La commozione, che in molti casi si è trasformata in lacrime, non era solo quella dei parenti o degli amici più cari ma anche di chi da padre Quirino ha avuto un consiglio, una carezza, un supporto spirituale o “solo” un piatto di minestra calda per placare la fame e il freddo. C’era la “sua” comunità francescana, c’erano i tanti collaboratori del Movimento celestiniano, il gonfalone della Regione, quello del comune di Taranta Peligna (dove padre Quirino è nato e dove è stato tumulato) e della Confraternita di San Bernardino di Scurcola Marsicana. In prima fila l’assessore Roberto Tinari in fascia tricolore. Presente, tra gli altri, il rettore dell’Università Edoardo Alesse. C’era la Chiesa aquilana con numerosi parroci e l’arcivescovo Antonio D’Angelo che ha celebrato il rito. Sono state proprio le parole di D’Angelo (che ha portato i saluti del cardinale Giuseppe Petrocchi) a silenziare le voci, che negli anni pure sono girate, su una sorta di scarsa empatia tra il francescano e le gerarchie ecclesiastiche locali. La frase di D’Angelo su padre Quirino è di quelle che andrebbero scolpite nella pietra: «Attraverso padre Quirino», ha detto l’arcivescovo, «Dio si è fatto presente a tanti di noi». Parole che sono state la sintesi di un’omelia incentrata sulla Misericordia, sul Perdono e sulla Carità, tutte cose di cui padre Quirino ha dato esempio e testimonianza ogni giorno della sua vita. Una vita, nell’ultimo periodo, segnata da una grande sofferenza che lui, col suo “Eccomi”, ha offerto a Dio come segno di fedeltà al messaggio evangelico. All’inizio della messa il rettore della basilica, padre Daniele Di Sipio, ha fatto deporre sulla bara il Vangelo, la veste liturgica e la stola.
le opere
Subito dopo padre Luciano De Giusti, ministro della Provincia Abruzzo-Lazio di San Bonaventura dei Frati Minori, ha letto una “biografia” di padre Quirino e ha ripercorso i momenti più importanti della sua esistenza terrena. Ha parlato di un religioso che aveva come punti di riferimento la Giustizia, la Pace, l’Ecumenismo, il dialogo, i poveri. Ha sottolineato le cose “visibili” che lascia come la mensa dei poveri e il “dono” della Perdonanza che padre Quirino all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso tolse dall’anonimato per farne un momento centrale della storia recente della città. Tutto in nome di quel grande Papa medievale, Celestino V, il cui messaggio oggi è forse più attuale di allora. Ha infine preso la parola Paolo Giorgi del Movimento celestiniano, amico e stretto collaboratore di padre Quirino. «Da quando è nata», ha detto Giorgi, «la mensa dei poveri non ha mai spento i fornelli. La nostra promessa è di continuare la tua opera per salvaguardarla e renderla sempre migliore al servizio dei deboli e dimenticati». All’uscita, dietro la bara, un altro grande amico di padre Quirino, Floro Panti. Le sue lacrime, in quel momento, sono state simbolo non solo di dolore, ma anche di profonda, immensa, gratitudine.
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