Carloni, la musica e l’etica della responsabilità
L’Aquila e l’Abruzzo ricordano la figura dell’operatore culturale
L’Aquila ricorda oggi e domani in due momenti separati (si veda riquadro in basso) la figura e l’opera di Nino Carloni, l’avvocato della musica, a vent’anni dalla scomparsa. il Centro ha chiesto a Francesco Sanvitale, suo allievo e amico, nonché direttore e fondatore dell’Istituto nazionale Tostiano di Ortona, un ricordo che pubblichiamo di seguito. «A noi che gli fummo vicini», spiega Sanvitale, «insegnò davvero ad amare la musica e personalmente appresi da lui, tra l’altro, quell’etica della responsabilità che spero di aver onorato ormai in trenta anni di professione e di aver in parte lasciato come retaggio ai miei collaboratori e ai miei allievi».
«Servire la Musica»: questa tra le tante suggestive espressioni, le fantasiose metafore, le frasi di rara qualità affabulatoria, è forse l’identificazione più calzante di una esistenza davvero, nei fatti, passata a «servire la musica» nella accezione più precisa e alta del suo significato.
Nino Carloni, di cui domani ricorrono i 20 anni della morte (23 marzo 1910 - 30 settembre 1987) servì la musica per oltre settant’anni in un rapporto che, al di là degli straordinari, tangibili risultati, non fu privo di scelte coraggiose, sofferenze, privazioni, incomprensioni e qualche dolente delusione che misero a dura prova la sua granitica volontà e quell’impensabile coraggio per l’utopia che ne fecero lo straordinario personaggio che ricordiamo oggi.
Non appaia esagerato parlare di scelte sofferte per un uomo che negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, figlio di maggiore ingegno in una famiglia della borghesia di provincia, dovette scegliere se intraprendere una carriera professionale tradizionale o darsi alla sua passione sentita: la musica.
La famiglia. Il padre che fu medico a Posta, allora in provincia dell’Aquila dove Nino era nato nel 1910 e poi a Pizzoli, non era uomo insensibile alla cultura, tutt’altro.
Era un latinista capace di intrattenere una corrispondenza nella lingua di Cicerone con Natalino Spegno e amava la musica praticandola con regolarità. Ma mai avrebbe compreso che il figlio più dotato facesse il musicista se non per diletto. In quello che prima dell’azione a tutto campo di Nino Carloni venne definito dal musicologo Carlo Marinelli «un deserto musicale», era difficile se non impossibile immaginare una vita decorosa quale da lui si attendeva la famiglia.
Il suo rapporto con la musica, dunque, si sviluppò con alterno impegno parallelamente agli studi regolari che dopo le scuole elementari a Pizzoli si svolsero per il ginnasio al convitto nazionale dell’Aquila dove peraltro avrebbe incontrato ad appena dieci anni una splendida coetanea, Flora Bellisari, che dopo la laurea in Legge sarebbe diventata sua moglie.
Nella irrequietezza di quella adolescenza tormentata, a Nino dopo la licenza ginnasiale sembrò potesse risolvere la sua ansia di una vita diversa la scelta di una terza via: l’Accademia navale di Livorno, forse perché il mare (che amò per tutta la vita) gli suggeriva gli spazi senza fine della musica. Ma la vita militare non era per lui (pur avendo brillantemente superato il concorso per l’ammissione in Accademia), troppo coerente per uniformarsi a una disciplina spesso fine a se stessa.
La disciplina. Eppure un non so che di autorevolezza militare, un senso di disciplina, spietato innanzitutto con se stesso e, appena mitigato dal senso del limite con i suoi collaboratori, l’accompagnò per tutta la vita. In fondo quando progettava le sue strategie culturali dando a ciascuno di noi un compito preciso, individuando spesso il nemico del momento e combattendo senza limiti di energia, competenza e, se del caso, spietatezza, era forse l’ammiraglio mancato a battaglie ben più cruente e devastanti.
Lasciato il corso 1924/25 dell’Accademia di Livorno, torna all’Aquila e brucia le tappe del liceo classico per recuperare l’anno perduto trovando il tempo di dare lezioni di matematica a Puparella (Flora Carloni) fattasi ormai bellissima (e parlando di bellezza non si può trascurare la sua; quando era giovane lo chiamavano la Venere con i baffi e, universitario a Roma, ebbe più di una volta proposte per tentare la carriera cinematografica; una bellezza che piaceva molto alle donne e che non mancò di dare qualche preoccupazione a Donna Flora che seppe però difendere la famiglia con tenacia e argomenti sempre vincenti) e messa in contatto con lui per queste lezioni dall’amato zio Umberto Petrucchi, il fratello della madre Anna, che ebbe nella formazione culturale di Carloni un ruolo fondamentale avvicinandolo ai grandi filosofi tedeschi e più in generale alla letteratura classica e moderna europea.
Gli anni romani. Dopo la licenza liceale intraprende gli studi di Giurisprudenza trasferendosi a Roma per gli ultimi anni del corso universitario per laurearsi brillantemente del 1933 con il giurista Federico De Ruggiero.
Ma i due anni romani non trascorrono solo tra lo studio e i corsi universitari, egli si dedica al pianoforte e alla composizione (seguendo gli insegnamenti del conterraneo Nicola Costarella e recandosi spesso a Napoli per approfondirli con Gennaro e Iacopo Napoli, personalità tra le più illustri del conservatorio San Pietro a Majella) ma soprattutto segue ogni possibile appuntamento musicale dai saggi del conservatorio di Santa Cecilia (dove la sorella Iole è iscritta ai corsi di pianoforte) e ai concerti dell’Augusteo che in quegli anni segnano ancora i momenti di eccellenza di quella rinascita musicale romana avviata alla fine dell’ottocento dalla lungimiranza del conte di San Martino.
Si reca con meno entusiasmo, e quasi per dovere di completezza ai concerti del teatro Reale dell’Opera di Roma, confermando quella diffidenza culturale per la lirica che era un po’ l’atteggiamento diffuso delle giovani generazioni di musicisti e intellettuali della musica del post-verismo italiano.
Frequenta anche le stagioni di prosa, qui con un altro giovane aquilano, amico fraterno di una vita quel Nicola Ciarletta che diverrà poi critico teatrale e docente universitario di Storia del teatro. Ai concerti sinfonici e da camera è un ascoltatore attento, segue, quando gli è possibile, i concerti con lo spartito o la partitura e soprattutto, relaziona puntualmente al rientro a casa Puparella che se ne sta ad attenderlo all’Aquila (Flora Carloni, donna anch’essa colta e brillante, era la figlia di Gaetano Bellisari illustre psichiatra che volle la costruzione dell’ospedale psichiatrico di Collemaggio ispirato ai principi di un positivismo della scienza medica di cui fu un esponente di caratura internazionale).
Gran parte delle energie per superare le crisi di quegli anni provengono a Carloni appunto dalla amata Flora come è testimoniato da un ricchissimo epistolario nel quale i due giovani oltre a sostenersi vicendevolmente costruiscono giorno per giorno il progetto della loro vita comune che nessuno dei due ama banale o convenzionale.
Le lettere-recensioni. Le lettere che Carloni scrive relazionando dei concerti sono recensioni che dimostrano una sensibilità e una consapevolezza che vanno ben al di là della sofferta e frammentaria applicazione allo studio della musica.
D’altro canto l’attenzione che il regime fascista dà alla musica contemporanea per esempio con varie iniziative (a Roma con la Mostra di musica contemporanea) danno modo al giovane Carloni di aprirsi a un repertorio verso il quale avrà sempre un’attenzione prioritaria, divenendo, quando sarà ormai uno dei più importanti organizzatori musicali italiani un punto di riferimento per più di una generazione di compositori del nostro tempo: partendo dai coetanei e fino a quei giovani o giovanissimi che ebbe la possibilità di supportare fino alla fine dei suoi giorni.
A testimonianza di questa sua perspicacia vale la pena di ricordare una lettera scritta il 2 aprile 1933 dopo un concerto di vari autori contemporanei italiani all’Augusteo di cui tra l’altro scrive «poi una Partita di Petrassi, giovane di 29 anni, diplomatosi l’anno scorso in composizione.
Questi è ancora entro i limiti dell’impressionismo, ma un impressionismo rivissuto in modo robusto, geniale quasi. Quando sarà libero da queste scorie (ora necessarie per necessità dialettica), avremo in Petrassi uno dei nostri primi musicisti. Io sono ammirato del suo ingegno musicale». Questo era il rapporto profondo e consapevole che Carloni aveva della musica.
Dopo la laurea farà il servizio militare come ufficiale di complemento di artiglieria a Pola, nell’Istria allora italiana. Nel 1935 torna all’Aquila e vive il momento più tormentato della sua esistenza nella scelta tra la musica e la professione forense.
La realtà incombente di rendersi autonomo dalla famiglia e anche di pensare alla «sua» famiglia lo decidono a intraprendere la carriera di avvocato non tralasciando per il momento gli studi musicali. Intanto si sposa ad Assisi il 9 dicembre 1936. Si avvia brillantemente alla professione e tenta anche qualche primo approccio con l’organizzazione di concerti tra il 1936 e il 1938, realizzando una Stagione musicale del G.u.f. (Gioventù universitaria fascista).
Nel 1938 nasce la prima figlia Fiorella che seguirà il padre nell’attività forense e nel 1940 la seconda Marina che invece intraprenderà la professione di organizzatrice musicale. Allo scoppio della guerra è richiamato e sarà a Corfù nell’Egeo. Nel 1943 rientra all’Aquila a causa di un attacco di malaria e prende servizio al 18º reggimento d’artiglieria.
L’8 settembre lo coglie proprio nella caserma dell’Aquila dove matura la decisione di mettere fine all’avventura bellica e di ritirarsi più o meno al sicuro con la famiglia sui monti vicino all’Aquila. Qui tra clandestinità e qualche approccio d’azione partigiana matura la sua adesione al Partito comunista iniziando una militanza che lo impegnerà politicamente per tutta la vita.
Le istituzioni musicali. Già nello stesso anno insieme ad altri intellettuali aquilani dà vita al Gruppo artisti aquilani che ha lo scopo di rinvigorire dopo il grigiore del ventennio e l’orrore della guerra la vita cultuale della città. Carloni cura ovviamente la sezione musica con i pochi mezzi possibili partendo anche da audizioni ragionate di dischi per poi arrivare alla inaugurazione della Società aquilana dei concerti che avviene il 7 novembre 1946.
E’ l’inizio di una lunga storia testimoniata da saggi approfonditi come quelli di Walter Tortoreto. Certamente la cura che egli pone nella costruzione delle stagioni partendo da un concetto non soltanto estetico ma anche educativo e didattico, forma presto un pubblico di qualità e fa della città dell’Aquila uno dei più ambiti luoghi per i concertisti di tutto il mondo il cui elenco sarebbe infinito e soprattutto inutile.
Basteranno a chi li volesse sfogliare gli annuari della Società Barattelli, dell’Istituzione sinfonica abruzzese, dei Solisti Aquilani, dell’Officina musicale italiana. Perché alla prima creatura, la Barattelli, presto seguirono istituzioni che producevano musica a partire dai Solisti Aquilani che nel 1968 su consiglio di Goffredo Petrassi egli chiamò con Vittorio Antonellini alla direzione, affidando poi allo stesso Antonellini e alla figlia Marina Carloni il compito di creare l’Orchestra sinfonica abruzzese che ha già superato anch’essa i quaranta anni di attività.
Tutto questo ampio movimento, compresa la nascita del conservatorio e l’istituzione di una cattedra di Storia della musica all’università facevano parte di un progetto che oggi definiremmo in progress al quale Carloni dedicò tutta la sua esistenza e se non ci avesse lasciato 20 anni fa avrebbe continuato a costruire senza darsi limiti alle possibilità di realizzazione.
Il politico. Fu un politico appassionato e severo come consigliere comunale, consigliere provinciale, e punto di riferimento della Federazione del Pci aquilano. Ma tenne sempre lontana la politica dalle sue istituzioni musicali. Della sua carriera di avvocato parlano il ricordo lasciato presso i più giovani colleghi e la conduzione di alcuni importantissimi processi.
Lo spazio è drammaticamente tiranno nel delineare una figura così complessa che ha cambiato il modo di vivere e organizzare la cultura non soltanto all’Aquila ma in tutto l’Abruzzo e mai cosa fu più giusta che ricordarlo a vent’anni dalla sua scomparsa.
«Servire la Musica»: questa tra le tante suggestive espressioni, le fantasiose metafore, le frasi di rara qualità affabulatoria, è forse l’identificazione più calzante di una esistenza davvero, nei fatti, passata a «servire la musica» nella accezione più precisa e alta del suo significato.
Nino Carloni, di cui domani ricorrono i 20 anni della morte (23 marzo 1910 - 30 settembre 1987) servì la musica per oltre settant’anni in un rapporto che, al di là degli straordinari, tangibili risultati, non fu privo di scelte coraggiose, sofferenze, privazioni, incomprensioni e qualche dolente delusione che misero a dura prova la sua granitica volontà e quell’impensabile coraggio per l’utopia che ne fecero lo straordinario personaggio che ricordiamo oggi.
Non appaia esagerato parlare di scelte sofferte per un uomo che negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, figlio di maggiore ingegno in una famiglia della borghesia di provincia, dovette scegliere se intraprendere una carriera professionale tradizionale o darsi alla sua passione sentita: la musica.
La famiglia. Il padre che fu medico a Posta, allora in provincia dell’Aquila dove Nino era nato nel 1910 e poi a Pizzoli, non era uomo insensibile alla cultura, tutt’altro.
Era un latinista capace di intrattenere una corrispondenza nella lingua di Cicerone con Natalino Spegno e amava la musica praticandola con regolarità. Ma mai avrebbe compreso che il figlio più dotato facesse il musicista se non per diletto. In quello che prima dell’azione a tutto campo di Nino Carloni venne definito dal musicologo Carlo Marinelli «un deserto musicale», era difficile se non impossibile immaginare una vita decorosa quale da lui si attendeva la famiglia.
Il suo rapporto con la musica, dunque, si sviluppò con alterno impegno parallelamente agli studi regolari che dopo le scuole elementari a Pizzoli si svolsero per il ginnasio al convitto nazionale dell’Aquila dove peraltro avrebbe incontrato ad appena dieci anni una splendida coetanea, Flora Bellisari, che dopo la laurea in Legge sarebbe diventata sua moglie.
Nella irrequietezza di quella adolescenza tormentata, a Nino dopo la licenza ginnasiale sembrò potesse risolvere la sua ansia di una vita diversa la scelta di una terza via: l’Accademia navale di Livorno, forse perché il mare (che amò per tutta la vita) gli suggeriva gli spazi senza fine della musica. Ma la vita militare non era per lui (pur avendo brillantemente superato il concorso per l’ammissione in Accademia), troppo coerente per uniformarsi a una disciplina spesso fine a se stessa.
La disciplina. Eppure un non so che di autorevolezza militare, un senso di disciplina, spietato innanzitutto con se stesso e, appena mitigato dal senso del limite con i suoi collaboratori, l’accompagnò per tutta la vita. In fondo quando progettava le sue strategie culturali dando a ciascuno di noi un compito preciso, individuando spesso il nemico del momento e combattendo senza limiti di energia, competenza e, se del caso, spietatezza, era forse l’ammiraglio mancato a battaglie ben più cruente e devastanti.
Lasciato il corso 1924/25 dell’Accademia di Livorno, torna all’Aquila e brucia le tappe del liceo classico per recuperare l’anno perduto trovando il tempo di dare lezioni di matematica a Puparella (Flora Carloni) fattasi ormai bellissima (e parlando di bellezza non si può trascurare la sua; quando era giovane lo chiamavano la Venere con i baffi e, universitario a Roma, ebbe più di una volta proposte per tentare la carriera cinematografica; una bellezza che piaceva molto alle donne e che non mancò di dare qualche preoccupazione a Donna Flora che seppe però difendere la famiglia con tenacia e argomenti sempre vincenti) e messa in contatto con lui per queste lezioni dall’amato zio Umberto Petrucchi, il fratello della madre Anna, che ebbe nella formazione culturale di Carloni un ruolo fondamentale avvicinandolo ai grandi filosofi tedeschi e più in generale alla letteratura classica e moderna europea.
Gli anni romani. Dopo la licenza liceale intraprende gli studi di Giurisprudenza trasferendosi a Roma per gli ultimi anni del corso universitario per laurearsi brillantemente del 1933 con il giurista Federico De Ruggiero.
Ma i due anni romani non trascorrono solo tra lo studio e i corsi universitari, egli si dedica al pianoforte e alla composizione (seguendo gli insegnamenti del conterraneo Nicola Costarella e recandosi spesso a Napoli per approfondirli con Gennaro e Iacopo Napoli, personalità tra le più illustri del conservatorio San Pietro a Majella) ma soprattutto segue ogni possibile appuntamento musicale dai saggi del conservatorio di Santa Cecilia (dove la sorella Iole è iscritta ai corsi di pianoforte) e ai concerti dell’Augusteo che in quegli anni segnano ancora i momenti di eccellenza di quella rinascita musicale romana avviata alla fine dell’ottocento dalla lungimiranza del conte di San Martino.
Si reca con meno entusiasmo, e quasi per dovere di completezza ai concerti del teatro Reale dell’Opera di Roma, confermando quella diffidenza culturale per la lirica che era un po’ l’atteggiamento diffuso delle giovani generazioni di musicisti e intellettuali della musica del post-verismo italiano.
Frequenta anche le stagioni di prosa, qui con un altro giovane aquilano, amico fraterno di una vita quel Nicola Ciarletta che diverrà poi critico teatrale e docente universitario di Storia del teatro. Ai concerti sinfonici e da camera è un ascoltatore attento, segue, quando gli è possibile, i concerti con lo spartito o la partitura e soprattutto, relaziona puntualmente al rientro a casa Puparella che se ne sta ad attenderlo all’Aquila (Flora Carloni, donna anch’essa colta e brillante, era la figlia di Gaetano Bellisari illustre psichiatra che volle la costruzione dell’ospedale psichiatrico di Collemaggio ispirato ai principi di un positivismo della scienza medica di cui fu un esponente di caratura internazionale).
Gran parte delle energie per superare le crisi di quegli anni provengono a Carloni appunto dalla amata Flora come è testimoniato da un ricchissimo epistolario nel quale i due giovani oltre a sostenersi vicendevolmente costruiscono giorno per giorno il progetto della loro vita comune che nessuno dei due ama banale o convenzionale.
Le lettere-recensioni. Le lettere che Carloni scrive relazionando dei concerti sono recensioni che dimostrano una sensibilità e una consapevolezza che vanno ben al di là della sofferta e frammentaria applicazione allo studio della musica.
D’altro canto l’attenzione che il regime fascista dà alla musica contemporanea per esempio con varie iniziative (a Roma con la Mostra di musica contemporanea) danno modo al giovane Carloni di aprirsi a un repertorio verso il quale avrà sempre un’attenzione prioritaria, divenendo, quando sarà ormai uno dei più importanti organizzatori musicali italiani un punto di riferimento per più di una generazione di compositori del nostro tempo: partendo dai coetanei e fino a quei giovani o giovanissimi che ebbe la possibilità di supportare fino alla fine dei suoi giorni.
A testimonianza di questa sua perspicacia vale la pena di ricordare una lettera scritta il 2 aprile 1933 dopo un concerto di vari autori contemporanei italiani all’Augusteo di cui tra l’altro scrive «poi una Partita di Petrassi, giovane di 29 anni, diplomatosi l’anno scorso in composizione.
Questi è ancora entro i limiti dell’impressionismo, ma un impressionismo rivissuto in modo robusto, geniale quasi. Quando sarà libero da queste scorie (ora necessarie per necessità dialettica), avremo in Petrassi uno dei nostri primi musicisti. Io sono ammirato del suo ingegno musicale». Questo era il rapporto profondo e consapevole che Carloni aveva della musica.
Dopo la laurea farà il servizio militare come ufficiale di complemento di artiglieria a Pola, nell’Istria allora italiana. Nel 1935 torna all’Aquila e vive il momento più tormentato della sua esistenza nella scelta tra la musica e la professione forense.
La realtà incombente di rendersi autonomo dalla famiglia e anche di pensare alla «sua» famiglia lo decidono a intraprendere la carriera di avvocato non tralasciando per il momento gli studi musicali. Intanto si sposa ad Assisi il 9 dicembre 1936. Si avvia brillantemente alla professione e tenta anche qualche primo approccio con l’organizzazione di concerti tra il 1936 e il 1938, realizzando una Stagione musicale del G.u.f. (Gioventù universitaria fascista).
Nel 1938 nasce la prima figlia Fiorella che seguirà il padre nell’attività forense e nel 1940 la seconda Marina che invece intraprenderà la professione di organizzatrice musicale. Allo scoppio della guerra è richiamato e sarà a Corfù nell’Egeo. Nel 1943 rientra all’Aquila a causa di un attacco di malaria e prende servizio al 18º reggimento d’artiglieria.
L’8 settembre lo coglie proprio nella caserma dell’Aquila dove matura la decisione di mettere fine all’avventura bellica e di ritirarsi più o meno al sicuro con la famiglia sui monti vicino all’Aquila. Qui tra clandestinità e qualche approccio d’azione partigiana matura la sua adesione al Partito comunista iniziando una militanza che lo impegnerà politicamente per tutta la vita.
Le istituzioni musicali. Già nello stesso anno insieme ad altri intellettuali aquilani dà vita al Gruppo artisti aquilani che ha lo scopo di rinvigorire dopo il grigiore del ventennio e l’orrore della guerra la vita cultuale della città. Carloni cura ovviamente la sezione musica con i pochi mezzi possibili partendo anche da audizioni ragionate di dischi per poi arrivare alla inaugurazione della Società aquilana dei concerti che avviene il 7 novembre 1946.
E’ l’inizio di una lunga storia testimoniata da saggi approfonditi come quelli di Walter Tortoreto. Certamente la cura che egli pone nella costruzione delle stagioni partendo da un concetto non soltanto estetico ma anche educativo e didattico, forma presto un pubblico di qualità e fa della città dell’Aquila uno dei più ambiti luoghi per i concertisti di tutto il mondo il cui elenco sarebbe infinito e soprattutto inutile.
Basteranno a chi li volesse sfogliare gli annuari della Società Barattelli, dell’Istituzione sinfonica abruzzese, dei Solisti Aquilani, dell’Officina musicale italiana. Perché alla prima creatura, la Barattelli, presto seguirono istituzioni che producevano musica a partire dai Solisti Aquilani che nel 1968 su consiglio di Goffredo Petrassi egli chiamò con Vittorio Antonellini alla direzione, affidando poi allo stesso Antonellini e alla figlia Marina Carloni il compito di creare l’Orchestra sinfonica abruzzese che ha già superato anch’essa i quaranta anni di attività.
Tutto questo ampio movimento, compresa la nascita del conservatorio e l’istituzione di una cattedra di Storia della musica all’università facevano parte di un progetto che oggi definiremmo in progress al quale Carloni dedicò tutta la sua esistenza e se non ci avesse lasciato 20 anni fa avrebbe continuato a costruire senza darsi limiti alle possibilità di realizzazione.
Il politico. Fu un politico appassionato e severo come consigliere comunale, consigliere provinciale, e punto di riferimento della Federazione del Pci aquilano. Ma tenne sempre lontana la politica dalle sue istituzioni musicali. Della sua carriera di avvocato parlano il ricordo lasciato presso i più giovani colleghi e la conduzione di alcuni importantissimi processi.
Lo spazio è drammaticamente tiranno nel delineare una figura così complessa che ha cambiato il modo di vivere e organizzare la cultura non soltanto all’Aquila ma in tutto l’Abruzzo e mai cosa fu più giusta che ricordarlo a vent’anni dalla sua scomparsa.