L’Aquila

Inquilini spiati negli appartamenti: caccia ai complici, l’uomo forse aiutato da qualcuno

3 Novembre 2025

Spycam, indagine all’Aquila. Gli investigatori si chiedono chi possa aver agevolato il 56enne nel predisporre il suo “Grande Fratello”. Sistema fin troppo sofisticato per essere opera di un barista. Restano dubbi sulla cessione dei filmati

L’AQUILA. «Chi lo ha aiutato a piazzare tutte quelle telecamere?». Se lo stanno chiedendo in queste ore gli investigatori, adesso a caccia di eventuali complici di G.G., l’uomo di 56 anni, titolare di un bar, accusato di aver spiato un’intera palazzina in zona Pratelle, all’immediata periferia ovest del capoluogo. Il sistema di videosorveglianza fin troppo privata da lui messo in piedi potrebbe infatti non essere solo farina del suo sacco. L’impressione è che non sia proprio un gioco da ragazzi quello escogitato e poi realizzato dal 56enne, titolare di un bar in zona centrale, all’Aquila. Collegare decine di apparecchiature dopo averle occultate all’interno delle intercapedini di mobili e arredi di camere da letto e bagni per poi coordinarne i collegamenti così da favorirne la trasmissione su un unico dispositivo, ha infatti tutta l’aria di essere roba da elettricisti o tecnici informatici, insomma da “smanettoni”. Oppure, in alternativa, da chi si è rivolto a qualcuno pur di mettere in moto quella sofisticata macchina di spionaggio, capace di immortalare gli scampoli più intimi della vita privata degli affittuari di dodici appartamenti, tutti ignari che qualcuno li sbirciasse dal buco di una webcam. E che infatti sono tutti caduti dalle nuvole una volta scoperchiato il vaso di pandora dagli agenti della polizia di Stato, a loro volta imbeccati da quella prima segnalazione piombata sul tavolo della questura a partire dalla denuncia di una ragazza. La prima ad essersi accorta che quello specchio, dove fino ad allora si era sempre preparata prima di uscire o di andare a dormire, non si limitava a riflettere semplicemente la sua immagine, ma aveva altresì il potere di dirottarla in presa diretta sul telefonino del suo proprietario di casa. La stessa persona, cioè, alla quale pagava regolarmente l’affitto, titolata a entrare in casa solo in caso di eventuali interventi di manutenzione. E invece capace di tenere costantemente sotto controllo, in simultanea, tutte le sue proprietà. E, con esse, chiunque vi soggiornasse, anche solo di passaggio. Una storia ancora fin troppo torbida, quella che tiene banco in questi giorni dal parrucchiere, nei bar e nei ristoranti del capoluogo, dove non si parla d’altro. Una di quelle vicende di cui si conosce il peccatore ma non il peccato. Non ancora del tutto, per lo meno. Non è infatti ancora chiaro se quei filmati – tutti indebitamente acquisiti al punto da configurare il reato di interferenze illecite nella vita privata – siano stati poi anche condivisi sul web, magari dietro pagamento. Tanto che gli inquirenti stanno accertando in parallelo la provenienza di quegli 80mila euro poi rinvenuti all’interno dell’auto in uso al 56enne. Una storia, dunque, i cui contorni sono tutti ancora da chiarire, per l’entità del materiale immortalato, le modalità del suo reperimento, il numero delle abitazioni nella disponibilità del 56enne, quello delle persone potenzialmente coinvolte (non solo gli stessi affittuari ma anche parenti e amici che siano passati nel tempo a trovarli), nonché la destinazione di quegli stessi video, forse già riversati su chissà quali piattaforme. Una storia, insomma, in cui ognuno, almeno per un momento, si è posto tra sé e sé la stessa sinistra domanda: «E se ci fossi capitato pure io in uno di quegli appartamenti?». ©RIPRODUZIONE RISERVATA