CESSATE DI UCCIDERE I MORTI

Sono bastate poche decine di di gru che svettano sulle ferite del centro storico cittadino a far gridare al miracolo: la ricostruzione c’è. E’ partita. In realtà c’è poco da gioire. Se ci sono voluti 5 anni per vedere le prime gru (e tra l’altro si tratta per lo più di cantieri che insistono su palazzi vincolati in quanto considerati beni culturali) significa che fino ad ora ci sono stati ritardi, pigrizie, polemiche strumentali, scontri di potere mirati al consenso elettorale e non al tanto sbandierato bene comune. Tanti colleghi che sono venuti a “fare il punto” mi hanno chiesto qual è oggi lo stato d’animo degli aquilani. Difficile dirlo. Forse ognuno ha il suo: chi è contento per essersi rifatto un palazzone con 8 milioni di euro dei contribuenti italiani, chi è arrabbiato perché il suo progetto nonostante le “raccomandazioni” e le aderenze politiche non viene ancora approvato, chi è deluso perché ha capito che anche in questa città i diritti vengono barattati per favori e dai doveri c’è chi preferisce scappare. Tutto si potrebbe riassumere in due parole: rassegnazione operosa.

In maniera più sempliciotta: campa cavallo che l’erba cresce. Il governo dopo mesi sembra tornato ad accorgersi del capoluogo d’Abruzzo. Il direttore regionale dei beni culturali Fabrizio Magani resta all’Aquila, il sottosegretario Giovanni Legnini si occuperà dei fondi. Se il sindaco Massimo Cialente la smetterà di fare l’ultrà tornando a concepire il suo ruolo istituzionale come servizio alla comunità e non come una guerra (a volte contro i suoi stessi concittadini) forse quest’angolo d’Italia per i prossimi quattro o cinque anni potrà coltivare la speranza. Ma ricostruire le case non basta. Serve lavoro, disegnare la città del futuro, fare scelte urbanistiche coraggiose, trarre forza dalla tragedia e non usarla come palcoscenico per la fiera delle vanità. Il grande poeta Giuseppe Ungaretti in una sua poesia lanciava un monito che ha valore universale: cessate d’uccidere i morti.