Delitto Mattarella, l’ex questore dell’Aquila si difende: «Male interpretato, ero agitato»

Accusato di aver depistato le indagini, Filippo Piritore cambia versione: «Mi professo innocente. Io non ho occultato nulla»
L’AQUILA. I ricordi sono confusi, i toni meno netti e le certezze messe per iscritto negli atti ufficiali e ripetute ai magistrati della Procura di Palermo che a settembre del 2024 l'avevano sentito, hanno lasciato il posto ai «non so». Il verbale di interrogatorio preventivo di Filippo Piritore, ex funzionario della Mobile ed ex questore dell’Aquila da venerdì ai domiciliari con l’accusa di avere depistato le indagini sull’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, è un dietro front netto rispetto al passato. «Io entro in uno stato di confusione e ansia. Avrò detto una cosa interpretata male. Mi professo innocente. Probabilmente ero agitato quando ho detto quelle cose», dice al gip che poi, accogliendo la richiesta della Procura, ne disporrà l'arresto.
L'ex funzionario che, secondo l'accusa, mentendo, avrebbe contribuito a far perdere le tracce del guanto in pelle lasciato il 6 gennaio del 1980 nella Fiat 127 usata per la fuga da uno dei killer di Mattarella e scomparso nel nulla, ha vuoti di memoria. Se ai magistrati, poco più di un anno fa, aveva detto di aver inizialmente affidato il guanto all'agente della polizia Scientifica Di Natale, che avrebbe dovuto darlo a Pietro Grasso, allora sostituto procuratore titolare delle indagini sull'omicidio, Piritore ora racconta di aver saputo «da qualcuno che Di Natale aveva preso il guanto».
«Io ero meticoloso, annotavo tutto, io non ho mai visto Di Natale e credo di non averlo mai conosciuto. Non era un mio onere repertare i beni», mette a verbale. Una nuova versione che segue le smentite dell'agente e dello stesso Piero Grasso che del reperto, dopo il delitto, non ha mai saputo alcunché. Nel primo racconto Piritore aveva addirittura detto che Grasso aveva poi disposto di fare riavere l'oggetto al Gabinetto regionale di Polizia scientifica e che lui a quel punto lo aveva fatto consegnare a un altro componente della Polizia scientifica di Palermo, Lauricella. Ma anche su questo, davanti al gip, il racconto cambia. «Evidentemente mi sarò spiegato male, ero confuso. Non sono certo che il nome sia Lauricella, non sono certo che il guanto sia ritornato alla scientifica», sostiene.
E difficilmente avrebbe potuto dire altro visto che nessun Lauricella lavorava alla Scientifica in quel periodo. Eppure l' importanza del reperto, di cui all'epoca venne informato anche il ministro dell'Interno, doveva essere evidente per un investigatore come Piritore. Di fatto il guanto, insieme all' impronta ritrovata nello sportello lato guidatore della Fiat 127, da cui nel corso di un incidente probatorio si proverà a isolare il Dna, era la chiave per dare un nome ai killer. Ma nonostante le contraddizioni Piritore, che farà ricorso contro il provvedimento del giudice, continua a professarsi innocente. «Io non ho occultato nulla».
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