Ecco come Spallone rilanciò Avezzano dopo Tangentopoli

Silurava gli assessori con una telefonata in piena notte Le sue opere: dal teatro al palestrone della Vivenza

AVEZZANO. Seppe infondere fiducia e dare speranza a una città prostrata da Tangentopoli. Dopo la decapitazione, nell'estate 1992, della giunta da parte della magistratura e l'arresto di amministratori e funzionari, Avezzano era allo sbando. Alle elezioni del 1993, la città, da sempre feudo della Dc, ha voluto voltare pagina, affidandosi al comunista Mario Spallone. Fiducia che il Professore ha ripagato, guidando per nove anni la città con equilibrio e saggezza. Ha voluto essere il sindaco di tutti.

«A chi veniva da lui», ricorda l'ingegnere Domenico Palumbo, ex capo dell'Ufficio tecnico e braccio destro di Spallone, «non ha mai chiesto chi fosse, ma cosa gli servisse». Il compito che attendeva Spallone, una volta eletto, non era facile. Bisognava ricostruire la città. E recuperare la fiducia nelle istituzioni che i cittadini avevano perso. Con quel piglio decisionista che lo caratterizzava si è messo subito al lavoro. Avendo sempre come bussola l'interesse collettivo. Se prendeva una decisione era quella. Nessuno poteva fermarlo. Come quando si è messo in testa che gli alberi nel centro della città andavano abbattuti. Ci fu una levata di scudi. Le manifestazioni e i sit-in non si contarono. Ma Spallone non volle sentire ragioni. Risultato: a guadagnarne non fu solo il decoro cittadino. Con l'abbattimento delle piante, sostituite con alberelli, i marciapiedi furono ristretti e lo spazio recuperato fu utilizzato per realizzare oltre 1.000 posti auto. E con i soldi incassati da quelli a pagamento, sono state assunte circa 50 persone licenziate da imprese in crisi. Spallone riteneva le "incompiute" una vergogna per la città. Ecco allora che si butta a capofitto per ultimare il Teatro, il Palestrone della Vivenza, l'edificio scolastico di via Pereto. Al merito di Spallone vanno ascritti anche il nuovo strumento urbanistico, adottato nel 1995, che la la città attendeva da 20 anni, ancora oggi valido, l'abbellimento delle piazze, l'ampliamento del cimitero e l'asfalto di tutte le strade bianche. Particolare attenzione dedicò alle frazioni, portandovi il metano e dotandole di servizi.

Per mantenere il contatto con i cittadini, Spallone, si è inventato "Telefono aperto" su Atv7, l'emittente di cui era prorietario. Ogni settimana ognuno poteva segnalargli eventuali disfunzioni e disservizi. L' indomani, puntuale, sul posto arrivava una squadra di operai del Comune. Con Spallone in pochi anni la città cambiò volto. E alle Comunali del 1997 i cittadini, riconoscenti, gli riconfermarono la fiducia. Spallone sapeva circondarsi di validi collaboratori. Se un assessore non andava, lo cacciava subito via, magari comunicandogli la decisione per telefono nel cuore della notte.

Nel 1995, anticipando l'iniziativa dell'attuale presidente del consiglio, Enrico Letta, ha portato l'ìntera giunta in ritiro spirituale in un convento a Cappadocia. Prima di Avezzano, a sperimentare le capacità amministrative del Professore era stata Lecce nei Marsi, suo paese natale. Vi è stato sindaco per 15 anni, dal 1970 al 1985 e ha fatto abbattere tutte le baracche, costruite dopo il terremoto del 1915. Al loro posto ha realizzato 90 appartamenti. Una vergogna, quella delle baraccopoli, che tanti Comuni della Marsica, dopo 98 anni, non sono ancora riusciti a cancellare. Il suo sogno era quello di morire da sindaco: per questo nel 2012, a 95 anni, si è candidato alle Comunali di Avezzano a capo della lista "Per la Marsica e per Avezzano". Non ce l'ha fatta, ma ha dimostrato che quello spirito guerriero che dentro gli ruggiva non l'ha mai abbandonato.

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