Grandi rischi, c’è un secondo verbale

Fu redatto il sei aprile pomeriggio: "Un terremoto era da attendersi". La Commissione precisava che non si potevano stabilire momento preciso ed epicentro
L’AQUILA. Alle 16,30 del sei aprile del 2009, con persone ancora sotto le macerie e con il dramma che si era ormai svelato in tutta la sua crudezza la Commissione Grandi rischi viene convocata di tutta fretta all’Aquila. Bisognava sistemare e firmare il verbale del 31 marzo. Ma non solo. Ne fu fatto anche un altro. A raccontarla oggi quella vicenda appare fuori dal tempo. Appena appreso quanto accaduto all’Aquila gli scienziati della Commissione Grandi Rischi hanno una sola preoccupazione: tutelare la loro storia professionale e mettere nero su bianco che, in fondo, loro avevano fatto tutto quanto possibile ma purtroppo «il terremoto non si prevede».
Nella mattinata di quel sei aprile le auto, con a bordo gli uomini Grandi rischi, passano fra file di ambulanze, carovane di camion pieni di materiali per la prima assistenza, macerie, dolore che si taglia a fette. Vanno tutti nella caserma della scuola della Guardia di Finanza, l’unico posto sicuro della città e dove gli strateghi della Protezione civile si stanno organizzando per far fronte all’emergenza. Giovani, anziani, bambini giacciono senza vita lungo i corridoi dell’ospedale - inagibile - diventati obitori, migliaia di persone ferite vengono spostate in strutture sanitarie di tutta la regione, altre vengono curate come possibile, le scosse continuano con frequenza impressionante. Ma questo per la Commissione Grandi rischi per il momento non è importante.
Bisogna sistemare un verbale e farne un altro. Quello da sistemare è relativo alla riunione del 31 marzo 2009, c’è una bozza dattiloscritta fatta da una dirigente regionale che in quella sede aveva il compito di verbalizzare. La bozza però è troppo complessa, riporta opinioni che possono essere male interpretate e che se finissero in mano ai giornali potrebbero scatenare un putiferio. E allora bisogna sintetizzarlo e riscriverlo praticamente da capo per dare una parvenza di ufficialità e autorevolezza. Così viene fatto. Il testo viene letto e riletto e poi a tutti i presenti viene chiesta la firma. E’ questa la prima incongruenza: si firma un verbale dopo una settimana e a evento, purtroppo, avvenuto. Ma non basta. La Commissione decide di compilare un altro verbale, che oggi è agli atti del processo, ma di cui si è parlato poco. Ora, dopo le polemiche intorno alle testimonianze di Bertolaso e Gabrielli quel documento può essere letto sotto una nuova luce. Ci sono passaggi che mettono i brividi a chi quella notte ha perso tutto.
Eccone uno. Sotto il titolo “danni registrati e danni attesi” gli scienziati scrivono: «I danni sono in corso di rilevamento da parte di squadre specificamente addestrate. A seguito delle verifiche verranno identificati gli edifici non agibili, quelli agibili a seguito di interventi di modesta rilevanza, quelli che richiedono interventi importanti prima di potere essere utilizzati». Nemmeno un accenno alle vittime considerate evidentemente meno degli «edifici non agibili». Tutto questo scritto nel pomeriggio del sei aprile quando dalle macerie ancora si sentivano grida di aiuto e di dolore. E non è vero che a quell’ora «i danni sono in corso di rilevamento». Difficile che in giro ci fossero già tecnici preoccupati di valutare in giornata le lesioni alle abitazioni. Si dirà: quello era il momento di agire non di piangersi addosso.
E infatti i componenti della Commissione Grandi rischi agiscono e compilano quel secondo verbale (ampi stralci sono nella tabella) in cui a un certo punto scrivono: «In particolare all’Aquila erano state registrati nel corso degli ultimi mesi numerosi eventi di modesta magnitudo, cui non necessariamente segue una scossa importante... La zona epicentrale dell’evento è caratterizzata da pericolosità tra le più alte in Italia. Un terremoto di elevata magnitudo era quindi da attendersi, non in un momento preciso e con epicentro definito».
La conclusione del verbale: «La difesa dai terremoti è possibile solo attraverso azioni sistematiche di prevenzione, con interventi strutturali mirati che riducano la vulnerabilità delle strutture soprattutto nelle zone a più elevata pericolosità in particolare quando si tratti di strutture pubbliche di carattere strategico e di edifici il cui collasso possa produrre effetti particolarmente gravi». Come dire: non si poteva fare nulla di più, purtroppo stavolta è toccato a voi. Avanti i prossimi. (g.p.)