Grandi rischi, ecco gli errori dei sette scienziati

Mille pagine per le motivazioni della condanna dei componenti della commissione per il mancato allarme terremoto all'Aquila. Il giudice: dagli scienziati carente ed errata valutazione
L’AQUILA. Potevano fare e non hanno fatto. Ai «dottori della terra», come li chiamava Adalgisa Cicchetti morta nella sua casa di Tempera in via dell’Orto Nuovo, non era richiesto, no, il vaticinio. Il giorno e l’ora. Ma un’adeguata considerazione del rischio sismico sì. Un’informazione chiara, corretta e completa sì. La predisposizione di un protocollo di previsione e prevenzione sì. La messa a disposizione dei loro saperi sì. E la giusta divulgazione sì. E invece quel giorno all’Aquila fu «la morte del sapere», come scrive in neretto il giudice Marco Billi a pagina 824 delle 943 di cui si compone la motivazione della sentenza di condanna a 6 anni di carcere ciascuno (in primo grado) ai 7 componenti della Commissione Grandi rischi per omicidio colposo plurimo e lesioni in relazione al terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. I sette non solo hanno agito in maniera «non conforme al dettato normativo in materia». Ma c’è di più. Erano esperti ma hanno usato male la loro competenza. Non solo. L’hanno piegata al volere della politica. E di Guido Bertolaso.
OPERAZIONE MEDIATICA. «Gravi profili di colpa», annota il giudice nelle motivazioni, «si ravvisano nell’adesione, colpevole e acritica, alla volontà del capo del Dipartimento della Protezione civile di fare un’”operazione mediatica” (come emerso dalle intercettazioni telefoniche che lo hanno fatto entrare nel processo come indagato per reato connesso) che si è concretizzata nell’eliminazione dei filtri normativamente imposti tra la commissione e la popolazione». I sette si riunirono, o meglio furono fatti riunire, all’Aquila, al precipuo scopo di tranquillizzare la popolazione martoriata da mesi e mesi di scosse sismiche a magnitudo vieppiù crescente. Scrive il giudice: «Il pm non contesta agli imputati la mancata previsione del terremoto, la mancata evacuazione della città dell’Aquila o la mancata promulgazione di uno stato di allarme, ma addebita agli imputati la violazione di specifici obblighi in tema di valutazione, previsione e prevenzione del rischio sismico disciplinati dalla vigente normativa». Quella riunione sarebbe dovuta servire per «finalità di protezione civile di previsione, prevenzione e analisi del rischio, al fine di individuare le misure di protezione a livello individuale o collettivo da calibrare sull’evoluzione della situazione in atto». L’altra colpa della Commissione è quella di aver violato gli obblighi di informazione nei confronti del Dipartimento di protezione civile, «informazione prodromica a quella che il Dipartimento deve curare nei confronti della popolazione e ne costituisce il presupposto necessario e indefettibile. All’Aquila le cose andarono diversamente poiché, per scelta mediatica il Dipartimento affidò il compito informativo direttamente ai membri della Commissione che se ne assunsero consapevolmente e volontariamente l’onere».
APPROSSIMATIVI E GENERICI. Così agirono i sette scienziati. «Nella riunione del 31 marzo», puntualizza Billi a pagina 362 della sentenza, «procedevano a un’analisi del rischio assolutamente approssimativa, generica e inefficace affermando che lo sciame era fenomeno geologico normale, non pericoloso, non preoccupante; la situazione era favorevole perché il progressivo scarico di energia allontanava il pericolo di una forte scossa; l’unica forma di prevenzione era l’adeguamento sismico degli edifici; lo scenario d’evento, in relazione ai danni che c’erano da attendersi, prefigurava danni limitati alle parti fragili e non strutturali degli edifici; lo sciame sismico non preannunciava niente e non costituiva affatto fenomeno precursore di un forte terremoto; aumenti di magnitudo all’interno dello sciame erano estremamente improbabili; i forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi, pari a 2-3000 anni, ed era quindi improbabile il rischio a breve di una forte scossa come quella del 1703 pur se non si poteva escludere in maniera assoluta».
SUPERFICIALI E DISATTENTI. «Così dimostrando», incalza il giudice, «per superficialità o insufficiente attenzione o anche solo per scarsa consapevolezza dei doveri che la legge impone ai membri della Commissione, di non essere stati in grado di comprendere e utilizzare, in modo adeguato, tutti i dati a disposizione per la valutazione e la previsione del rischio; e di non essere stati capaci di orientarne l’interpretazione nella direzione della prevenzione e della corretta informazione». E col loro comportamento hanno indotto gli aquilani a non lasciare le case. Qui il giudice ripercorre le dolorose testimonianze dei familiari delle vittime. A pagina 550 scrive: «L’attendibilità e la credibilità di Giustino Parisse (caporedattore del Centro, ndr), appare indubbia. Il ricordo dei fatti è stato fornito in dibattimento con una deposizione assolutamente priva di forme di astio o di risentimento nei confronti degli imputati». Avrebbero potuto salvare vite umane. E non lo fecero. Quella notte, così parlò Adalgisa nel racconto del figlio Marco: «Lei mi guardò, fu l’ultima volta che la vidi, mi guardò e mi disse: no, non ti preoccupare, non succede niente, hanno detto che non succede niente, questo è così...è le scossette...è l’energia che si libera...non ti preoccupare...non succede niente, vatti a dormire. Fu l’ultima volta che la vidi viva».
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