«Grandi rischi, lo Stato non ne uscirà indenne»

7 Dicembre 2014

L’avvocato Cecchini commenta gli esiti della sentenza della Corte d’Appello «Le assoluzioni perché i giudici non hanno condiviso le certezze del primo grado»

L’AQUILA. Il ribaltamento della sentenza d’Appello, che ha assolto sei componenti su sette della vecchia commissione Grandi Rischi, ha lasciato di stucco molti aquilani, parti civili in testa.

E molti, soprattutto coloro che hanno poca dimestichezza con il «pianeta giustizia», fanno fatica a spiegarsi come sia possibile passare da una condanna pesantissima, che avrebbe comportato il carcere, a un’assoluzione piena.

Tramite Attilio Cecchini, decano degli avvocati aquilani, con oltre 50 anni di professione forense, proviamo a spiegare quella decisione in attesa della motivazione. «Che una prima condanna a sei anni venga trasformata in assoluzione», dice l’avvocato, «è tecnicamente possibile. Basta non condividere la certezza raggiunta dal giudice di primo grado, che in secondo grado si ribalti la sentenza. Il nostro sistema giudiziario è ispirato al principio accusatorio e alla presunzione di non colpevolezza e al canone garantista che la condanna va dimostrata ogni oltre ragionevole dubbio». «Basta», aggiunge, «che un giudice entri perplesso in camera di consiglio perché ne esca con un verdetto di assoluzione. E nel nostro caso i punti sui quali doveva convergere il convincimento di almeno due giudici su tre sono molteplici e complessi. Si pensi al quesito se “le informazioni fornite furono incomplete, imprecise e contraddittorie” come recita il capo di imputazione, oppure no e se quelle informazioni “indussero le vittime a rimanere in casa nonostante le scosse”». «Il primo giudice», prosegue, «non ha avuto dubbi: le rassicurazioni oscurano le riserve degli scienziati “il terremoto non si può escludere in maniera assoluta; essendo la zona dell’Aquila sismica non è possibile affermare che non vi saranno terremoti; qualunque previsione non ha fondamento scientifico”». «Ma la Corte», prosegue, «può ben essersi chiesta: cosa dovevano dire di più o di meno, dandosi una risposta contraria. Così noi, destinatari di quel messaggio, ci saremmo trovati nella condizione dell’asino di Buridano, obbligati a scegliere e quindi responsabili delle nostre opzioni. In questa prospettiva, nel corso della discussione, feci ricorso all’argomento ibis redibis. Intendevo dire che se l’ex commissione si era espressa in termini sibillini, pur sempre ne doveva rispondere penalmente, dal momento che anche un responso ambiguo è da considerare informazione contraddittoria e fonte di colpa per cooperazione».

«La condanna a 2 anni del solo De Bernardinis», spiega ancora il legale, «va riferita alle sue imprudenti valutazioni dello sciame come scarico di energia e fenomeno durevole finalizzato a spegnere gli allarmi che serpeggiavano in città disturbando la cabina di regia della Protezione civile».

«In conclusione», dice il legale, che in questo giudizio rappresenta alcune parti civili, «la responsabilità risarcitoria dello Stato è sorretta dalla “doppia conforme”, cioè due sentenze favorevoli, che ritengo valida a resistere al prevedibile scrutinio della Corte di Cassazione. Per quanto attiene al ricorso contro le assoluzioni spetterà alla Procura generale decidere se proporlo o meno. Un’iniziativa delle parti civili non escluse troverebbe ostacolo nella carenza di interesse».

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