Il figlio venne sciolto nell’acido, il papà ammira ad Aielli il murale dedicato al piccolo Giuseppe Di Matteo

La visita in Abruzzo di Santino Di Matteo, oggi pentito di Cosa Nostra. L’opera è stata realizzata dall’artista Laika dopo l’arresto del boss Messina Denaro, morto all’Aquila. (Nella foto, a sinistra il murale e a destra Santino Di Matteo insieme al sindaco di Aielli Enzo Di Natale)
AIELLI. Ha posato le mani sulla parete ruvida, dove il colore della vernice si mescola al cemento. Sulle spalle il peso delle colpe. Di una vita sbagliata. Delle scelte fatte e rinnegate. Santino Di Matteo è rimasto in silenzio di fronte al murale che immortala il piccolo Giuseppe cavalcare felice. Idealmente, nelle intenzioni dell’artista, gli ultimi attimi che ne hanno preceduto il sequestro ad opera dei sicari di Cosa Nostra. Ieri, nel silenzio del borgo dai mille colori, l’ex mafioso ora collaboratore di giustizia dello Stato, per anni vicino ai corleonesi, ha fatto visita all’opera realizzata alla memoria del figlio, ucciso e sciolto nell’acido per le rivelazioni del padre sulla strage di Capaci e sull’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo. Lo ha incontrato il sindaco Enzo Di Natale, che con lui ha condiviso il racconto di quei drammatici anni. «Qualcosa di incredibile è accaduto. Quel murale è improvvisamente divenuto il luogo fisico di un appuntamento con la storia».
LA VISITA «Perché non hanno preso me?». Lo ha ripetuto più volte Mario Santo Di Matteo, detto Santino. Noto anche come Mezzanasca. Il suo personale racconto al sindaco Di Natale di quello che rappresenta uno dei fatti di cronaca peggiori legati al mondo della criminalità organizzata è l’ammissione disperata di un padre che è consapevole di essere stato la causa della morte del figlio. «Abbiamo ripercorso i momenti in cui ha scoperto che Giuseppe era stato rapito. Si trovava in un luogo sicuro, sotto scorta. Scappò, invano, per andare a cercarlo». A distanza di circa due anni, quell’anima pura fu brutalmente ammazzata e disciolta nell’acido. Negando alla famiglia un corpo da riabbracciare. «Una visita imprevista. Ero in ufficio quando mi hanno avvisato che Santino Di Matteo era in paese e voleva incontrarmi. Mi sono preparato cercando di mettere da parte la sua storia personale, che è pesante e dolorosa, segnata da un passato criminale che condanno con la massima fermezza. Gli atti di mafia, e in particolare l’atroce destino di Giuseppe Di Matteo, restano ferite profonde per l’Italia intera. Mi sono trovato di fronte non al mafioso, ma a un padre che è venuto fin qui per vedere il murale dedicato a suo figlio. Questo non cancella nulla di ciò che è stato, ma rappresenta un momento di forte valore simbolico. Un uomo che si confronta con la memoria della vittima innocente che era suo figlio. Che non è riuscito a trovare giovamento nemmeno quando sono stati catturati gli assassini di Giuseppe». Neppure l’arresto di Matteo Messina Denaro, tra i mandatari del sequestro, gli ha restituito un minimo di giustizia. «Ha la convinzione che Messina Denaro si sia volontariamente consegnato. Mi ha spiegato di aver sempre saputo dove si nascondesse. Che fosse cosa nota. E che a un certo punto si è lasciato trovare».
IL MURALE Giuseppe che cavalca il suo cavallo. Una corsa immaginaria, felice, prima del buio. Sullo sfondo un’esplosione di azzurro, come il mare della sua Sicilia. E poi il messaggio a chiare lettere, “Mafia sucks”. La mafia fa schifo. L’opera ha una sua storia personale. È stato il sindaco in persona a contattare la street artist Laika e a metterle a disposizione una nuova parete del museo a cielo aperto di Aielli. L’artista, il giorno dopo il trasferimento del boss Matteo Messina Denaro nel carcere dell’Aquila, in piena notte, ritrasse a sorpresa su una parete in prossimità del carcere il piccolo Giuseppe Di Matteo a cavallo, sorridente e con le dita a formare una V, come a celebrare la sua vittoria. Sebbene arrivata a distanza di trent’anni dal suo rapimento e dalla sua barbara uccisione. Quel murale fece il giro della stampa nazionale. Pochi giorni dopo fu misteriosamente rimosso. «A quel punto ho contattato Laika e le ho proposto di realizzare il murale sulla facciata del municipio. Ha subito accettato nonostante non sia una sua abitudine lavorare su commissione», ha specificato Di Natale. «Non ha voluto né compensi».
APPUNTAMENTO CON LA STORIA Di Natale l’ha definito «il luogo fisico di un appuntamento con la storia». Il murale ha avuto risonanza tale da attirare ad Aielli un testimone scomodo e controverso della più alta casta della criminalità organizzata che il Paese abbia mai conosciuto. «Da sindaco, sono felice che Aielli, con i suoi murales e la sua vocazione culturale, sia diventato un luogo capace di attrarre storie, riflessioni e momenti così intensi», ha spiegato Di Natale. «Significa che il nostro borgo è entrato nel cuore delle vicende che racconta, dando forza e centralità alla memoria». L’opera che celebra l’innocenza di Giuseppe Di Matteo fu inaugurata alla presenza del fratello maggiore, Nicola, che aveva scelto di esserci per dare ulteriore significato a quella tela muraria.
L’UCCISIONE DI GIUSEPPE Un abominio. Un fatto di cronaca durato 779 giorni. Dalla data del sequestro, fino all’assassinio. Giuseppe Di Matteo aveva solo 12 anni quando fu rapito dai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro. Un regolamento di conti nei confronti del padre Santino, colpevole di essersi pentito e aver fatto rivelazioni cruciali nel merito della strage di Capaci e altri omicidi noti. Giuseppe fu preso il 23 novembre 1993 in un maneggio di Villabate, mentre cavalcava il suo cavallo. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, l’intera operazione fu decisa a tavolino il 14 novembre di quell’anno in una fabbrica di calce a Misilmeri. I sequestratori si travestirono da poliziotti della Dia. Fecero credere al piccolo Giuseppe che lo avrebbero accompagnato dal padre, in quel periodo sotto protezione in luogo sicuro, lontano dalla Sicilia. Alla famiglia fu inviato un biglietto con il messaggio «Tappati la bocca», con due foto del ragazzo con in mano un quotidiano del 29 novembre 1993. Lo stesso Santino Di Matteo scappò dal domicilio di sicurezza per andare a cercare suo figlio. Dopo 25 settimane di prigionia, il giovane venne strangolato e poi disciolto in un fusto di acido nitrico. Senza nessuno scrupolo. Senza traccia di umanità.
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