Il «Nine» di Fratti diventa un filmcon Sophia Loren e la Zeta-Jones

«Vivo a New York da 40 anni ma mi sento italianissimo e fortemente legato all’Abruzzo»

Il 5 luglio scorso la sua città natale, L’Aquila, gli ha tributato un particolare omaggio per gli 80 anni. Ma Mario Fratti, innamoratissimo dell’Italia e del suo Abruzzo, vive ormai da 40 anni a New York. Il suo musical «Nine» ora diventa un film.

Il titolo, già un enorme successo con diversi interpreti (l’ultimo è stato Antonio Banderas che l’ha interpretato a Broadway nel 2003), è un omaggio a Federico Fellini (e al pescarese Ennio Flaiano) perché è una lettura di «8 e ½». Fratti ha risposto alle domande del Centro nell’intervista che segue.

In Italia la storia del suo musical che diventerà un film sta avendo una grande risonanza, anche perché si fanno i nomi, per il cast, di Catherine Zeta-Jones, Javier Bardem e del ritorno sul set di Sophia Loren. La regia è affidata a Rob Marshall ma quasi nessuno sottolinea che il film è tratto dal suo «Nine».

«Gli scrittori devono imparare a essere pazienti. La storia di “Nine” è un buon esempio. Cominciò con la rappresentazione e la pubblicazione in India e a New York della mia commedia “Sei donne appassionate” (vita di Federico Fellini). Ed Kleban (Chorus Line) che aveva scritto delle musiche per il mio “Frigoriferi” (Premio Vallecorsi in Italia) mi suggerì di trasformarla in musical e mi presentò il giovane compositore Maury Yeston.

Lunghi anni di lavoro creativo; senza esser mai pagati, naturalmente. Vincemmo quattro premi letterari. Interessai poi il regista Tommy Tune. Era noto solo come attore ma io conoscevo il suo amore per il cinema italiano. Invitarono Arthur Kopit per ritoccare il linguaggio. L’adattamento era ormai pronto e perfetto. In conclusione abbiamo ora tre autori.

Con crediti e contratti ben definiti. Vincemmo cinque premi Tony. Quando un musical viene scelto da un noto, famoso regista, cambiano tutte le regole. Lui diventa il centro del progetto. Rob Marshall è un maestro del musical. Ha portato al trionfo “Chicago”. Gli autori vengono citati, di tanto in tanto, quando i nostri agenti protestano.

Gli scrittori devono accettare questa inevitabile umiltà. Ma abbiamo avuto occasione di suggerire i nomi delle stelle preferite. Son subito venuti a galla i nomi di Sophia Loren, Penelope Cruz, Marion Cotillard (magnifica nel film “Piaf”), Catherine Zeta-Jones, Renée Zellweger, Nicole Kidman, Antonio Banderas, Javier Bardem, Johnny Depp. Saranno scelti da Rob Marshall, John De Luca e Harvey Weinstein. Tutto dipende dalla loro disponibilità e dai loro agenti».

Qualche anno fa il Centro la intervistò per il successo che «Nine» stava avendo a New York (al teatro O’Neill) con Antonio Banderas e Jane Krakowski come protagonisti. Ma il suo lavoro aveva esordito nel 1982 con Raoul Julia ed ebbe un grande successo a Broadway.

«Nel 1982, avemmo una prima trionfale a Broadway. Cinquantuno recensioni positive. Ed Kleban mi dette al party una candelina accesa dicendo: “Ecco, la fiaccola passa ora a te”. Maury Yeston, eccitatissimo, continuava a dire: “Sono il re di Broadway, adesso”.

Dal 1982 al 2003, migliaia di repliche in molte lingue. Poi nel 2003, altro trionfo con Antonio Banderas. Vincemmo altri due Tony».

Cosa ha cambiato e cosa ha tenuto del lavoro di Fellini e Flaiano?

«Questo è un soggetto delicato. Tentammo di seguire la traccia del film “Otto e ½”, opera geniale, altamente intellettuale e sottilmente psicologica. Belle canzoni nei momenti più adatti. Non funzionava. Ci bocciarono le prime tre versioni dicendo: “Questa è una balena bianca; non avrà mai successo”. Ho dovuto cambiare molto.

Dopo l’inizio, squisitamente felliniano delle prime scene, ho dovuto inventare elementi alla Broadway che richiede sempre ballerine, eventi insoliti, satira, originalità. Ho mandato il protagonista a Venezia dove ha molti guai mentre gira il film della sua vita. Molte occasioni per satira, balletti, equivoci, risate. E’ piaciuto a tutti».

Vive negli Stati Uniti ormai da oltre 40 anni ed è cittadino americano. Quanto si sente ancora italiano? E quanto americano? Quanto, infine, sente ancora le sue origini abruzzesi?

«Mi sento italianissimo, con le migliori caratteristiche della razza abruzzese: lealtà, persistenza, amore per la propria terra».

Lei è un abruzzese che vive in America. Conosce l’opera di John Fante e degli altri americani di origini abruzzesi?

«Ho sempre letto e studiato con interesse la difficile esistenza di Pascal D’Angelo, Arturo Giovannitti e John Fante. Vite difficili perché ignorati per anni in un ambiente anti-italiano. Dovettero accettare tanti lavori umili e mal pagati, per sopravvivere. Di Fante ammiro, particolarmente, i drammatici “Wait Until Spring Bandini”, “Ask the dust” e “Dreams from Bunker Hill” (il disprezzo di Hollywood per gli scrittori di talento)».

Come e perché è andato negli States?

«Nel 1963 comprarono e misero in scena le mie due commedie “Accademia” e “Ritorno”. Venni a New York per la prima che ebbe successo. Mi trattennero con lusinghe, premi, offerte di altre produzioni, cattedre universitarie».

«Otto e ½» è un film in qualche modo abruzzese visto che il soggetto è di Federico Fellini e del pescarese Ennio Flaiano, la sceneggiatura è di Fellini e Flaiano (con Tullio Pinelli e Brunello Rondi), la direzione della fotografia è del teramano Gianni Di Venanzo. Lei, che è aquilano, l’ha portato a New York con il musicale «Nine». Strane coincidenze, non trova?

«Mi dà buone notizie abruzzesi; alcune nuove. Tutti sanno qui del gran contributo del nostro geniale Flaiano ai film di Fellini. E, grazie alla solida, ben ricercata antologia “Storia del teatro in Abruzzo” di Franco Celenza c’è una rinascita di interesse per gli autori drammatici abruzzesi Flaiano, Silone, Antonelli, Federici, Moscardelli, Amar, Pomilio, Miscia, Celenza e Vallauri (antologia pubblicata a Pescara dall’attivissimo benemerito della cultura italiana Edoardo Tiboni)».

«Nine» è un suo lavoro di 25 anni fa. Nel frattempo ha scritto e messo in scena molti altri lavori. Quali le hanno dato maggiori soddisfazioni? A cosa sta lavorando?

«Scrivo un testo all’anno. Quasi tutti vengono ora rappresentati e pubblicati entro pochi mesi. Sono fortunato. Hanno appena pubblicato in Turchia “Sei donne appassionate”, “Vittima”, “Cage” e “Che Guevara”. Grazie alle tante pubblicazioni ho avuto più di seicento produzioni in diciannove lingue. Sono appena uscite due antologie: ventuno commedie in italiano; ventotto commedie in inglese. Ho appena finito “Garibaldi” che andrà in scena a giorni».

Nel luglio scorso L’Aquila, la sua città natale, finalmente, le ha dato un riconoscimento. Come ha vissuto quel momento?

«E’ stata la settimana più bella della mia vita. Mi han riconosciuto, sorriso con lealtà abruzzese, accettato. Che si vuole di più dalla vita?».