La fine del rugby, un’intera città delusa

10 Ottobre 2019

Dalle ex bandiere neroverdi ai dirigenti di altre discipline: una sconfitta per la comunità. Molte colpe addossate al Comune

L’AQUILA. Il giorno dopo l’ufficializzazione del fallimento dell’Unione Rugby L’Aquila e della conseguente esclusione dal campionato di serie A, le reazioni, da parte degli addetti ai lavori e dei diretti protagonisti di questa vicenda, sono improntate a una grande amarezza, ma anche al rifiuto di scaricare il peso di questo fallimento su tutto il mondo della palla ovale cittadina.
Malgrado tutto, c'è la consapevolezza che il rugby aquilano ha ancora un futuro, grazie soprattutto a un movimento giovanile florido. «Siamo molto amareggiati», commenta Nicola Caporale, il presidente dell’Ur Rugby, che fino all’ultimo ha provato a cercare una via d’uscita alla crisi: «Ai ragazzi che hanno scelto, insieme ai tecnici, di accettare la sfida di ripartire dalla C1 per amore della maglia e della città desidero rivolgere un pensiero e un ringraziamento speciali per aver dato un segnale fortissimo. Mi sembra, questo, oggi, il messaggio più importante da sottolineare».
BASI PER RICOSTRUIRE. Anche il presidente della Polisportiva, Paolo Mariani, evita qualsiasi tipo di polemica e prova a guardare al futuro: «È chiaro che da presidente ed ex giocatore c’è grande dispiacere. Non mi sento di accusare nessuno. È inutile rivangare il passato, dobbiamo guardare avanti. Ripartiamo dalla C1 e da un settore giovanile in salute. Ci sono tutte le premesse per avviare un progetto serio e tornare in breve tempo in serie A, dove meritiamo di stare». COLPE DEL COMUNE.
Chi invece non usa toni concilianti è il consigliere comunale del Passo Possibile Antonio Nardantonio, che ha fatto parte del consiglio d’amministrazione dell’Unione Rugby L’Aquila.
«Si fa fallire una società per un debito ridicolo (49mila euro, ndc). Il progetto poteva funzionare, noi ce l’abbiamo messa tutta. L’incapacità, però, non è stata solo nostra. L’impegno del sindaco Pierluigi Biondi non ha portato nessuno sponsor, nemmeno quando si è messo un veto su Vincenzo De Masi (ex presidente della Polisportiva) e Francesco Aloisio (consigliere sempre della Polisportiva).
CITTÀ DISINTERESSATA. «Io e De Masi abbiamo fatto un passo indietro quando ci è stato detto che era un passaggio necessario per far entrare altri soci e altri sponsor», afferma Francesco “Ceccopeppe” Aloisio. «Il nostro sacrificio, a quanto pare, non è servito a niente.
Per Aloisio, una vita vissuta dentro la Polisportiva, prima da giocatore e poi da dirigente. «Di polemiche se ne potrebbero fare tante, ma in questo momento non avrebbero senso. Quello che sottolineo, invece, è il disinteresse generale della città».
LE VECCHIE GLORIE. «Abbiamo sperato fino all’ultimo, provo un dolore forte. Per me è come vivere un lutto», è lo sfogo di Fulvio Di Carlo, scudettato neroverde con L’Aquila Rugby e nazionale azzurro. «È vero che si può ripartire dai giovani ma senza la prospettiva di poter giocare in serie A, dove andranno questi ragazzi?».
«Provo un grande dispiacere», osserva un’altra gloria neroverde, Carlo Caione, «un po’ me l’aspettavo, le premesse con cui era nata l’Unione non lasciavano ben sperare. Inutile scaricare la colpa su qualcuno, le responsabilità sono molteplici. Mi sento di dire solo che le società sportive dovrebbero vivere di vita propria, tenendosi lontano il più possibile dalla politica».
«È difficile dare giudizi di merito», dichiara un altro ex, Giulio Morelli, uno degli eroi della finale scudetto del 1994 vinta contro il Milan. «L’unica via d’uscita, forse, è quella della coesione: ognuno vuole andare per conto suo, ma L’Aquila non ha un tessuto economico capace di sostenere tutte queste realtà».
«Vedere una piazza storica come L’Aquila ridotta così è molto triste», dice Carlo Festuccia, neroverde ed ex nazionale. «C’è da dire che il rugby è cambiato molto rispetto al passato, per gestire le società oggi ci vogliono figure manageriali e un lavoro metodico, a tutti i livelli, dallo staff tecnico alla segreteria».
LE ALTRE DISCIPLINE. Una considerazione, quest’ultima, fatta anche da Roberto Marotta, segretario generale della Federazione pattinaggio, ex primatista mondiale di velocità: «Le società che oggi funzionano sono quelle con bravi dirigenti e forse sono questi a mancare in questo momento».
«Il fallimento di un qualunque club sportivo genera sempre un momento di riflessione», dichiara Roberto Nardecchia, presidente del Nuovo Basket Aquilano. «Ritengo che a fronte di una crisi generalizzata che non riguarda solo il territorio aquilano, sia compito della classe dirigente di qualunque società sportiva operare con la logica del buon padre di famiglia, programmando per tempo la propria attività e i propri investimenti e commisurando il tutto alle risorse che si riescono a ottenere».
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