La neve, lo schianto, 8 morti quella tragedia di 60 anni fa

29 Marzo 2023

Il velivolo Itavia precipitò in Valle Roveto: resta il disastro aereo più grave in Abruzzo Tra le vittime il cancelliere del tribunale di Pescara e l’imprenditore Gelber di Chieti

BALSORANO. Il relitto del Dc-3 dell’Itavia è ancora incastrato tra i boschi di Serra Alta. Il silenzio di quei monti, al confine tra l’Abruzzo e il Lazio, ha custodito per sessant’anni il ricordo di una tragedia consumata dal tempo. La fusoliera sventrata e i resti del velivolo spuntano tra la fitta schiera di faggi come un mausoleo a cielo aperto. Più in alto, dove le foglie del bosco si consegnano al blu del cielo, campeggia la lapide con scolpiti i nomi delle otto persone che persero la vita nello schianto del 30 marzo 1963, il disastro aereo più grave mai avvenuto in Abruzzo. Incisi sul marmo a pochi passi dai 1.720 metri della vetta ci sono i nomi dei caduti del volo Itavia 703: Ernesto Roggero, 46 anni, medaglia d’oro al valore militare e istruttore dell’Itavia; il secondo pilota Erminio Bonfanti (25 anni) e l’assistente di volo Luigi Palitta (21). E poi i cinque passeggeri a bordo: Guido Mancini (36), vicepresidente dell’Itavia; Marvin Walter Gelber (36), ingegnere americano di origine tedesca, amministratore della “Camiceria Adriatica” di Chieti Scalo; Nicolò Marcello (23), nobile veneziano, allievo ufficiale della Scuola di Ascoli Piceno; Marco Di Michele (50), cancelliere del tribunale di Pescara; e Leonbruno Angeloni (26), sottufficiale dell’Aeronautica militare.
IL RACCONTO
Qualcuno parlò di strane luci e bagliori sinistri provenienti dalla cima della montagna di Serra Alta. Poco prima che la notte avvolgesse i monti della Valle Roveto, gli abitanti del luogo ebbero un sussulto. La montagna coperta di neve aveva inghiottito un aereo della compagnia Itavia, il Dc-3 partito da Pescara e diretto a Roma-Ciampino con a bordo otto persone. Il velivolo aveva fatto perdere le proprie tracce dalla serata del 30 marzo: i radar della capitale lo avevano intercettato per l’ultima volta in volo su Roccaraso, poi più nulla. Le pessime condizioni meteo di quella notte non lasciavano presagire nulla di buono. E infatti l’apparecchio andò a schiantarsi sulla parete di roccia in cima a Serra Alta, all’interno dei confini comunali di Balsorano. L’equipaggio, guidato dall’esperto comandante Roggero, aveva virato verso sud per sfuggire alla perturbazione che stava sferzando l’Italia centrale. Un cambio di rotta che, secondo il personale di bordo, avrebbe permesso all’aereo di sfuggire alla tormenta di vento, pioggia e neve. La visibilità, però, restava ridotta al minimo e i contatti con la centrale andarono perduti. All’improvviso, i piloti intravidero sulla loro destra le luci di una città, e credendo di essere oramai arrivati a Ciampino, virarono in quella direzione, trovando lo schianto alle 19.36. Non ci fu scampo per nessuno.
il protagonista
Il boato partito dal monte Serra Alta aveva catturato le attenzioni degli abitanti di Balsorano e Sora. Le voci su quegli strani avvenimenti furono delle più disparate: qualcuno le riferì a Vittorio Ferrari, 23enne di Sora, figlio di un vigile urbano scomparso poco prima. Vittorio, che quei monti li conosceva come pochi, volle vederci chiaro e si mise in cammino verso quella cima divenuta assai misteriosa. Ferrari sfidò la neve e il gelo di quel giorno insieme a un gruppo di sei compaesani, ma fu lui a individuare l’area in cui era precipitato il velivolo. Arrivò nel punto della tragedia e toccò la morte da vicino: nell’impatto, un grosso faggio aveva squartato la fusoliera, il mezzo prese fuoco e l’esplosione spazzò vita tutto: morirono tre membri dell’equipaggio e cinque passeggeri. Due salme erano ricoperte dalla neve, mentre le altre cinque erano ancora all’interno dell’aereo carbonizzate. Vittorio scese a valle per informare del ritrovamento carabinieri, polizia e guardia di finanza, che nel frattempo avevano allestito il campo base per le ricerche nello stadio di Sora.
il recupero dei corpi
Il giovane indicò il punto esatto dello schianto e i soccorritori, insieme ad alcuni boscaioli della zona e ai volontari del Cai di Sora, si diressero in cima (con 22 muli al seguito) per il recupero delle salme. Con loro salì in vetta per la seconda volta in poche anche lo stesso Ferrari. L’operazione fu complicata dalla neve copiosa e dalla natura impervia dei boschi. Dopo oltre due ore di estenuante cammino sulla neve, i soccorritori raggiunsero il relitto. Nel rapporto stilato all’epoca dalla compagnia dei carabinieri di Sora si legge: «Alle ore 2 del 2.4.1963 una colonna dei Carabinieri sciatori e volenterosi volontari locali, guidata dal Ferrari, iniziava la scalata dei monti interessati, che per un’insolita inclemenza stagionale in alcuni punti erano coperti da circa metri 2 di neve». E ancora: «I militari dell’Arma ed i civili raggiunti i resti dell’aereo a quota 1720 di “Serra Alta” precedettero alla rimozione delle salme degli 8 passeggeri che, introdotti in sacchi di tela juta, vennero trasportati a valle». Tornarono a Sora con i corpi caricati su barelle di fortuna, realizzate con rami di faggio e sacchi di tela grezzi.
le iniziative
In occasione del sessantesimo anniversario della tragedia, sabato 1 aprile (alle 10.30) il Comune di Balsorano organizzerà un incontro al centro culturale dell’asilo infantile Ravenna, alla presenza di alcuni familiari delle vittime, di ex tecnici e hostess dell’Itavia ed ex membri del Cai che parteciparono alle ricerche. Per l’occasione sarà allestita anche una mostra fotografica. Presente anche lo scrittore Marco Monti, autore del libro “L’ultimo viaggio dell’Itavia”. A Sora, domenica scorsa il Cai ha organizzato un’escursione nei luoghi della tragedia.
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