La psicologa Maria Rita Parsi: «La storia di Sulmona tocca il fondo della non decenza»

L’intervista: «Vorrei parlare con le madri di questi qui. La violenza utilizzata l’hanno vista fare o l’hanno patita sulla loro pelle. Ragazzi che diventano il braccio armato della vendetta»
SULMONA. «Egocentrici, narcisisti, disfattisti e distruttivi». Con, alle spalle, «storie familiari, scolastiche e sociali difficili, ai margini della società». Le nuove generazioni, che provengono «da ambienti tribali», dove la violenza è di casa. Maria Rita Parsi, psicologa, saggista e scrittrice tra le più note d’Italia, i cui nonni sono originari di Sulmona, tratteggia il profilo dei giovani che, in Valle Peligna, hanno violentato una bambina di 12 anni, diffondendo le immagini sui canali social. Come loro, tanti altri che annaspano in un contesto familiare malato e disfattista. Giovani talmente distruttivi da scagliarsi contro persone deboli, inermi, contro le donne: una potenza declinata in violenza, pur sentendosi impotenti. Il bersaglio non ha possibilità di reagire, giace inerme. La furia distruttiva contro la proiezione di quello che potrebbero essere loro stessi.
Una narrazione cruda: è davvero questo il contesto in cui attecchisce la violenza?
«Gli accadimenti di Sulmona non sono solo gravi perché ci dicono di una violenza perpetrata ai danni di una dodicenne, poco più che una bambina. Lo sono in quanto si sviluppano all’interno di un meccanismo che si allarga a macchia d’olio: violentare una ragazzina e mandare le immagini su piattaforme virtuali significa toccare il fondo della non decenza».
Come inquadra psicologicamente questi soggetti?
«Le nuove generazioni violente sono, spesso, il frutto di situazioni al limite, che mettono insieme la parte più atroce e becera del patriarcato con il disagio personale. Utilizzano una ragazzina come fosse una cosa da spartirsi e ci buttano dentro le nuove tecnologie che sono in funzione di vecchi e squallidi stereotipi».
A cosa si riferisce?
«Alla mercificazione del corpo e della vita delle donne».
Qui entriamo in un terreno minato...
«Pensi a quella ragazzina. Sono traumi che non si superano per tutta la vita. Se quella creatura potrà elaborare la tragedia è solo perché ha denunciato e ha avuto la forza di dire: io ce l’ho fatta, ho reagito. Costi quel che costi. E questo già è un vantaggio. L’unica maniera per elaborare il lutto è la denuncia».
Perché parla di lutto?
«Lo stupro è il peggiore dei lutti: la mercificazione del corpo, la schiavitù sessuale che, come quella culturale e di pensiero, rappresenta la negazione della persona».
Assistiamo ad un’escalation di violenza: come lo spiega?
«La violenza è sempre esistita. Abbiamo cercato di governarla, solo che adesso lo sappiamo, ne abbiamo evidenza. Esce allo scoperto, non è più circoscritta al gruppo ristretto, ma diventa plateale».
Questa esposizione al pubblico ludibrio non è un’ulteriore violenza?
«Eccome se lo è! La diffusione virtuale è una violenza stratificata, che si ripete».
Sì, ma come bloccare questi fenomeni?
«La strada è una: formare le giovani generazioni. Un compito della famiglie e della scuola, ma quando anche la famiglia e la scuola non sono formate, ecco che succede il disastro ed è difficile arrivare a un risultato».
Lei che cosa propone?
«Di inserire équipe stabili di psicologi e psicoterapeuti nelle scuole per fare formazione. Sta per uscire il libro “La scuola al tempo del virtuale”, che ho curato per Curcio editore: un progetto articolato, frutto di 50 anni di lavoro. Una sorta di vademecum su come deve cambiare la scuola, quanto si deve investire in una rivoluzione sociale e culturale che è, ormai, improcrastinabile».
Dove nasce il seme del male nei ragazzi che utilizzano la violenza come strumento di autoreferenzialità?
«Sono giovani violati. Gente che fa questo in gruppo ha dietro storie da incubo. Non fai queste azioni se, in qualche modo, non le hai patite».
Così, però, li vittimizziamo...
«No, ma va compreso che questi soggetti sono portatori di un odio profondo verso l’universo femminile. Un odio che nasce dalla superiorità delle donne: sono le donne il laboratorio neurobiochimico. Altro che l’invidia del pene, parliamo invece dell’invidia del grembo».
Deboli che se la prendono con altri deboli?
«Gente impotente e gravemente frustrata che ha bisogno di violare il corpo delle donne. Vorrei parlare con le madri di questi qui: la violenza utilizzata l’hanno vista fare o l’hanno patita sulla loro pelle come incuria. Ragazzi che diventano il braccio armato della vendetta delle donne represse, negate».
Quindi, larga parte della colpa va alle madri?
«Esiste un mondo di donne nemiche delle donne, che questi soggetti malati alimentano fino a vendicarsi dell’universo femminile. Parliamo di ragazzi che sono cresciuti nella violenza, l’hanno subita. Giovani che, magari, non si sentono amati abbastanza dalle loro madri».
Una denuncia forte...
«Qui ammazzano tre donne a settimana. Mostri castrati contro povere donne che diventano le vittime naturali di un passato torbido del maschio violento. È una persecuzione senza fine verso le donne, che danno la vita. E a loro viene tolta».
Le donne dovrebbero ribellarsi di più?
«Devono continuare ad emanciparsi, ribellandosi alla violenza. Ma è necessario anche educare gli uomini alla non violenza e devono farlo le madri, i padri, la famiglia, la scuola e la comunità sociale. Si deve investire nella formazione: negli oratori i giovani venivano educati diversamente».
Ragazzi che compiono gesti di una tale efferatezza sono recuperabili?
«Ci si deve provare perché il danno compiuto si riverbera anche contro loro stessi. Si deve creare una condizione educativa per la quale l’empatia diventa la prima disciplina da insegnare nelle scuole. Oggi più che mai il disagio risulta evidente con la crisi dei ruoli tradizionali».
Lei ha definito questi soggetti come narcisisti maligni.
«Erich Fromm, psicoanalista tedesco, ha coniato per primo questo termine. Il narcisista pensa: morirò, ma morirete tutti. È il debole che amministra la vita nel bene e nel male, che spaccia la violenza per normalità. Che annienta e abusa come strumento di supremazia. Ma questo dovremmo dirlo ai grandi della Terra».
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