L’Aquila

La salvò dal terremoto, 16 anni dopo le fa da testimone di nozze. Erano alla Casa dello Studente: da allora l’amicizia

3 Agosto 2025

Sisma L’Aquila 2009, storie di rinascita: la giovane teramana Cinzia Di Bernardo e il suo ”angelo” Renato Pelacani erano nell’edificio crollato il 6 aprile

TERAMO. Cinza rende universale il liguaggio dei sentimenti. Perché ci sono gesti che per sempre racconteranno chi siamo. Tra vita e morte, tra cronaca e storia.

Cinzia Di Bernardo aveva poco più di vent’anni e arrivava da Teramo con una borsa di studio per diventare una psicologa quando quella notte infinita del 6 aprile 2009 ingoiò esistenze e sogni di tanti come lei ospitati in quella Casa dello Studente diventata uno dei simboli del terremoto dell’Aquila. Ma la vita trova sempre la sua strada e Cinzia si è ripresa la sua con due figli (Adam e Luna), un compagno (Simone Di Gabriele), una laurea in psicologia applicata e della salute, un lavoro da psicoterapeuta. La memoria del prima e del dopo, però, non conosce tramonto. Così Cinzia, che sabato 9 agosto si sposa con il suo Simone, ha deciso che non poteva essere diversamente: a celebrare le nozze sarà Wania Della Vigna, l’avvocata che l’ha seguita nella battaglia giudiziaria e non solo, e a farle da testimone sarà Renato Pelacani, lo studente di Fermo, nelle Marche, che quella notte del 2009 quando i pompieri arrivarono tra le macerie della Casa dello Studente disse loro di andare prima dalle ragazze che sentiva chiedere aiuto nella stanza vicina in quell’edificio diventato tomba per otto persone.

Cosa significa e perché questa scelta?

«Quando io e Simone abbiamo optato per il rito civile la prima e unica persona a cui ho pensato per celebrarlo è stata Wania che come avvocata mi è stata vicina in tutto il percorso. Ma la sua presenza non si è esaurisce con l’assistenza legale. In questi anni è stata un un’amica, un punto di riferimento, una persona a cui chiedere consiglio su tutto. La scelta di Renato come testimone è stata immediata e per me scontata. Ho voluto che quel giorno con me ci fosse quello che chiamo un fratello d’anima, una persona con cui ho un legame che va oltre il sangue perché la vita decide chi sta al tuo fianco. Quella notte lui ha scelto di far venire i soccorritori prima da me e dagli altri, poi da lui. Noi fino a quel momento c’eravamo incontrati tante volte, ma la vita e la morte hanno scelto di unirci per sempre e io quello che lui ha fatto non posso dimenticarlo. Resterà per sempre una parte della mia vita, quella di allora e quella di oggi»

Da quella notte infinita alla nascita dei suoi figli, alla laurea, al matrimonio. Come si riprende a vivere dopo aver sopravvissuto?

«Per molto tempo, dopo quella notte, mi sono sentita proprio una sopravvissuta. Sopravvissuta a quello che avevo visto e che non si può dimenticare, al silenzio della morte, con il senso di colpa per chi non c’è più. Era come se tutto si fosse interrotto, fermato per sempre. Come se non riuscissi più a fare un passo in avanti. Poi, lentamente, è arrivato il momento in cui sono tornata a vivere e a combattere anche in nome di chi oggi non c’è più ma solo perché il caso ha voluto che fosse così quella terribile notte del 2009. Perché, mi creda, in certe situazioni la vita e la morte sono solo una questione di coincidenze. Per riprendermi la vita mi hanno aiutato moltissimo il mio compagno, il diventare mamma e il mio lavoro».

Cosa ricorda di quei giorni di paura e poi di quella drammatica notte?

«Ricordo che in quei giorni io ero abbastanza stanca degli allarmi che si ripetevano. Ormai durava da mesi, ci stavamo abituando a convivere con le scosse. Io e come tanti altri studenti come me che erano arrivati da tutta Italia per studiare all’Aquila. E poi tutti, a cominciare dagli esperti, ci dicevano di stare tranquilli, che tanto non sarebbe successo nulla, che lo sciame prima o poi sarebbe finito. Quella sera c’era già stata una scossa, così come nelle serate precedenti. Ricordo che avevo deciso di andare a dormire presto sperando che non succedesse nulla perché l’indomani avevo il tirocinio e quindi volevo essere concentrata. Improvvisamente la parte della Casa dello Studente dove io mi trovavo sprofondò ma fortunatamente la nostra camera rimase integra. Ci hanno soccorso i pompieri dopo tre, quattro ore e dopo che Renato sentendo le nostre urla disse ai pompieri di venire prima da noi. Da quella stanza siamo usciti vivi tutti e anche se a fatica tutti ci siamo ripresi la vita. Con il tempo, con le occasioni che la vita ti dà. Ma quella notte in molti non uscirono vivi da tante altre stanze di quell’edificio che ci aveva accolti. Credo che questo pensiero non mi abbandonerà mai».

Dopo la drammatica esperienza del terremoto si è laureata, ha frequentato la scuola di specializzazione e psicoterapia analitica archetipica Atanor dell’Aquila, ha preso l’abilitazione come psicoterapeuta e ha iniziato la sua attività professionale. Oggi vive con la sua famiglia a Val Vomano, ma il legame con l’Aquila non si è mai interrotto. Perché?

«L’Aquila è una città che mi ha dato tanto, mi ha fatto conoscere tantissime persone, mi ha dato l’opportunità di realizzare il sogno di diventare psicologa. È stata una città accogliente per noi studenti, pronta a non lasciarti mai sola, a coccolarti come se fosse la tua città. Quando da studentessa sono arrivata qui ho toccato con mano una città aperta al mondo. Sono rimasta anche dopo il sisma per aiutare perché sentivo che tutti insieme potevamo rialzarci. È stato come se la mia guarigione passasse dalla guarigione di questa città. Certo la strada è ancora lunga per me come per L’Aquila ma la direzione che entrambe abbiamo preso è sicuramente quella giusta. Questa città farà sempre parte di me anche se mi ha segnato profondamente, ma ci sono coincidenze che non posso non cogliere. Quando io e Simone abbiamo deciso di sposarci, ci siamo messi alla ricerca di una location per la cerimonia, la festa con parenti e amici. Abbiamo visto tanti posti e quando siamo andati a Silvi, al Parco Archea, sono rimasta senza parole: all’ingresso c’è un rosone, un’immagine del Rosone di Collemaggio donata dai terremotati che nei giorni successivi al 9 aprile furono ospitati in quella struttura così come tanti aquilani finiti sulla costa teramana. Un legame che non conoscevo e che ha rappresentato un ulteriore segno per una scelta».

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