L’Aquila

L’Aquila dice addio a Loreto Cucchiarelli, un mito del rugby

25 Agosto 2025

Una comunità in lutto: Cucchiarelli si è spento a 82 anni. Ha vinto scudetti da giocatore e da allenatore. I funerali a San Silvestro

L’AQUILA. «Se hai carattere, diventi subito uno con un caratteraccio». La vita di Loreto Cucchiarelli, uno dei grandi miti del rugby aquilano e nazionale, potrebbe essere condensata in decine di frasi da antologia, tanto era grande il peso e il valore che riusciva ad attribuire a ogni singola parola. Questa sul carattere, però, puntualizzata in un’intervista al Centro del 2007, probabilmente è quella che meglio riesce a sintetizzare la grandezza di un uomo che ha fatto della sostanza una ragione di vita, che riusciva a far convivere ruvidità e gentilezza, passione e razionalità, onestà intellettuale e metodi spicci. Un uomo che non ha mai amato il compromesso - da qui, per molti, il “caratteraccio” - e che ha vissuto sempre con orgoglio e a testa alta ogni scelta, dalla più piccola alla più complessa - ecco perché prevale, senza ombra di dubbio, il “carattere” -.

Una personalità debordante, un gigante, un lottatore fiero, che da ieri manca all’Aquila e all’Italia intera.

Loreto è morto a 82 anni, lasciando un’eredità pesantissima nel mondo del rugby, dello sport in generale, ma anche dell’educazione e del sociale. Non per nulla alla notizia della sua scomparsa sono giunti messaggi di cordoglio da ogni parte d’Italia. È complesso riassumere in poche righe ciò che ha fatto. Tanto che il glorioso palmares - con L’Aquila Rugby scudettato da giocatore nel 1966-67 e nel 1968-69, da allenatore nel 1981-82 e 1982-83, Azzurro numero 211 e Commissario Tecnico della Nazionale tra il luglio del 1988 e l’agosto del 1989 - rischia addirittura di essere riduttivo. Perché forse, paradossalmente, le cose più importanti Cucchiarelli le ha fatte, in campo e dalla cattedra, come professore ed educatore, nel trasmettere a centinaia di giovani, sportivi e non, valori e insegnamenti profondi.

Loreto è stato un burbero che ha convissuto benissimo con questa fama. «Rispetto, ecco cosa pretendo. Quando qualcuno sbaglia, lo dico. Quando qualcuno fa la cosa giusta, non mi complimento, perché sarebbe superfluo. Con me si può sempre parlare, ma senza obbligo».

Poche parole, tanti fatti. Una tempra forgiata dalla vita: classe 1943, nato in tempo di guerra a Borgorose (nel Reatino), fino a 19 anni amante del calcio, poi la folgorazione per la palla ovale. E l’inizio di una storia che non ha eguali. In campo era la “mente”, un allenatore in movimento già dagli esordi. «Mi chiamavano il Rivera del rugby» raccontava spesso per dare una dimensione plastica di questo talento.

Con Antonio Di Zitti capitano, fu l’artefice degli scudetti da giocatore, «sogni trasformati in realtà» perché anche allora, come poi è stato anche in futuro, L’Aquila ha sempre battuto squadre più forti e titolate. «Ci laureammo campioni, fu come diventare eroi. In tanti vollero darci qualcosa, in segno di riconoscenza, spontanamente. Campioni: così ci chiamavano» disse ricordando l’impresa del 30 aprile 1967, Fiamme Oro battute nello spareggio di Roma, al Tre Fontane. C’era gente del calibro di Aloisio, Autore, i Del Grande, Fugaro, Pino Lusi, Parisse, Ricci, Vicini, Vittorini, Zia, tanto per citarne alcuni. Privilegiando - altra “cifra” dell’intelligenza di questo maestro - l’innovazione spiazzante di un rugby più tecnico al cospetto della fisicità. Concetti che poi, passato in panchina, ha messo al servizio di tante realtà, L’Aquila e nazionale in primis, ma non solo. Con un punto fermo: «Il miglior elemento che ho avuto alle mie dipendenze è stato Massimo Mascioletti».

Il debutto con la Nazionale, nel 1966, era arrivato proprio nella sua L’Aquila, nella vittoria di Coppa Europa contro la Romania, un’epica battaglia, ideale per il suo stile di gioco. Per ritrovare l’azzurro, ha atteso l’estate del 1988 quando venne nominato Commissario Tecnico dopo aver regalato alla “sua” L’Aquila altri due titoli, quelli del 1981 e 1982.

Lascia la moglie Maria Cristina, i figli Stefano, Francesca e Irene. I funerali oggi alle 16 a San Silvestro. Conoscendolo, tutte queste parole probabilmente lo avrebbero infastidito: «Non sono uno di quelli che avvertono la necessità di essere amati». “Mezzo sigaro” dovrà rassegnarsi all’amore sconfinato di chi, almeno una volta nella vita, ha avuto la fortuna di incrociare quel magnetico “mezzo sorriso”.

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