Medico trovato morto all'Aquila: indagine della Procura

Ascoltati familiari e amici della giovane donna e alcuni operatori del reparto Il fratello: «Parlerò con il ministro e farò una battaglia per la meritocrazia»

L’AQUILA. Il suicidio della giovane chirurga siciliana Luana Ricca, “cervello in esilio” poi rientrata in Italia per lavorare all’interno dell’Asl dell’Aquila, è oggetto anche di un’indagine penale. Un atto dovuto caratterizzato dall’audizione, nei giorni scorsi, dei familiari della vittime, conoscenti e personale ospedaliero tra cui anche il professor Roberto Vicentini come persone informate sui fatti. Va subito detto che al momento non ci sono indagati e il bando di concorso da lei vinto, pur nel mirino, non è stato acquisito dalla polizia. L’unico reato astrattamente ipotizzabile potrebbe essere l’istigazione al suicidio. Subito dopo la morte il pm aveva comunque disposto l’autopsia. Ma l’indagine è alle fasi iniziali e nessuno al momento ne può immaginare gli sviluppi.

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Le esequie per l’addio a Luana si sono svolte ieri mattina nella chiesa di San Giovanni Battista, in piazza Chiesa Madre di San Giovanni La Punta in provincia di Catania, dove era nata 38 anni fa.

Il fratello di Luana, Francesco, giornalista del gruppo editoriale Fr con sede a Catania, non ci sta ad accettare supinamente questa tragedia e di recente ha avuto anche modo di parlare con il magistrato che coordina le indagini della squadra Mobile, la dottoressa Antonietta Picardi.

Ma, soprattutto, ribadisce di voler contattare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin. «Ho già fatto i primi passi per poter parlare con il ministro», ha assicurato ieri pomeriggio Francesco Ricca, «non soltanto per parlare del caso di mia sorella e verificare se ci sono state ingiustizie, ma anche per combattere il sistema-sanità all’insegna della battaglia per la meritocrazia visto che in Italia si va avanti da sempre per conoscenze e favoritismi. Mia sorella è voluta tornare in Italia rinunciando a una sicura carriera in Francia».

I fatti parlano chiaro. Il caso di Luana fu preso da esempio come uno dei tanti “cervelli in esilio”. A Parigi, per un decennio, ha operato nel primo centro francese di trapianti di fegato e di chirurgia epato-biliare. Al suo attivo, dopo una laurea conseguita in tempi brevissimi, 1500 interventi chirurgici (di cui due terzi da primo operatore) e svariate pubblicazioni in inglese, francese e spagnolo. Avrebbe potuto restare in Francia ma, come detto, volle tornare in Italia, dopo aver vinto un concorso all’Asl dell’Aquila, Sulmona, Avezzano. In precedenza le era scaduto il contratto a Milano con il centro di Umberto Veronesi dove era stata apprezzata. Nel frattempo si era trasferita all’Aquila con la famiglia. Forse il fatto di non avere avuto in Italia i riconoscimenti professionali che avrebbe largamente meritato l’ha fatta cadere in un vortice di depressione.

Era stanca di combattere e forse stressata per avere avuto un’esistenza dai ritmi insostenibili?

Ecco cosa scriveva, un paio di anni fa, su un blog di Radio 24 per raccontare la sua storia. «Da più di 4 anni lavoro nel primo centro francese di trapianti di fegato e di chirurgia epato-biliare, potendo beneficiare di una formazione d’eccellenza. Dal 2012 ho cominciato un doppio dottorato di ricerca in oncologia, alla ricerca di una via di ritorno per l’Italia. Tuttavia, per lavorare, vivo a Parigi con mio figlio di 5 mesi, mentre mio marito vive e lavora a Roma facendo i tripli salti mortali per vederci». Ora la battaglia contro questo sistema perverso la porterà avanti il fratello.

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