«Pericolo per la società», chiesta la sorveglianza per 7 neofascisti

13 Dicembre 2025

L’accusa dei pm: «Hanno costituito un’associazione con finalità eversive». Ecco tutti i ritratti e le accuse

L’AQUILA. L’ombra del terrorismo nero si allunga ancora sull’Abruzzo, undici anni dopo i fatti, disegnando lo scenario di una minaccia che la magistratura ritiene tutt’altro che archiviata. «Sono soggetti socialmente pericolosi, in quanto responsabili della promozione, costituzione e organizzazione di un’associazione con finalità terroristiche-eversive denominata Avanguardia Ordinovista». È con queste parole che la procura della Repubblica dell’Aquila ha motivato la richiesta di applicare la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per cinque anni nei confronti di sette neofascisti. Gli imputati sono accusati, a vario titolo, di aver riversato odio sui social network e di essere pronti a passare all’azione per ammazzare immigrati e politici.

L’istanza dei pubblici ministeri giunge a pochi mesi dalla sentenza della Corte d’assise di Chieti (presidente Guido Campli), che ha inflitto condanne per 75 anni complessivi di carcere ai componenti della banda. Un gruppo che venerava Adolf Hitler e Benito Mussolini al punto da dedicare loro un altare celebrativo con tanto di svastiche e fasci littori. Basandosi su quanto emerso anche dalla relazione dei carabinieri di Chieti, i pm hanno sollecitato per le sette persone pure l’obbligo di dimora nei comuni di rispettiva residenza o domicilio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e altre prescrizioni previste dal decreto legislativo del 2011. La richiesta sarà ora valutata dalla sezione misure di prevenzione del tribunale dell’Aquila, presieduta da Giuseppe Romano Gargarella.

Il cuore della questione è la persistenza del pericolo. Sono passati undici anni, ma per l’accusa queste persone continuano a rappresentare un rischio concreto per la collettività. Quelle stesse persone che, secondo i giudici, volevano riportare l’Italia agli anni di piombo, rappresentando una duplice minaccia: nell’immediato miravano alla «eliminazione materiale di soggetti indesiderati, mediante colpi mirati ai loro luoghi di aggregazione, conseguenzialmente il rovesciamento del sistema statuale e l’apposizione di un “Ordine Nuovo”, consentito dallo stato di caos e terrore raggiunto attraverso gli attentati. Non si tratta di un disegno delittuoso “inedito”, rinvenendosi, con facilità, paralleli ed espliciti riferimenti alla “strategia della tensione” che ha terrorizzato l’Italia degli anni Settanta». Ed ecco i profili dei sette protagonisti che ora rischiano la sorveglianza speciale, ricostruiti in base alla sentenza di primo grado.

Originaria di Varese e residente a Silvi Marina, Marina Pellati ha avuto «un ruolo di spicco all’interno del gruppo». Compagna del capo della banda, Stefano Manni, già condannato in via definitiva con il rito abbreviato, «lo segue appoggiandolo in ogni sua decisione» e «manifesta un’autonoma motivazione nei confronti degli obiettivi perseguiti dall’associazione, dando il proprio contributo in maniera attiva e tangibile. La sua partecipazione non si limita infatti alla condivisione e all’approvazione dei post condivisi di Manni su Facebook, ma la porta a essere presente a molte delle riunioni e a contribuire nella pianificazione degli attentati. Ad esempio, è grazie a lei che il gruppo comincia a frequentare l’abitazione di Rutilio Sermonti», ideologo di Avanguardia Ordinovista, morto nel 2015, all’età di 94 anni, dopo una biografia tutta citata in nero: militare arruolato volontario, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si era aggregato alle Ss e poi aveva aderito alla Repubblica sociale italiana.

Il ruolo di Emanuele Del Vasto Pandolfina è stato delineato da uno dei due carabinieri del Ros infiltrati nel gruppo: «Sia su Facebook ma anche di persona ha partecipato a svariati incontri in cui si faceva riferimento ad attentati, a colpire i politici ad alto indice di fattibilità». In altre riunioni, l’uomo – nato a Palermo e residente a Catignano – evocava rapine di autofinanziamento, necessarie per l’acquisto delle armi, oppure ad altre modalità per reperirle. Secondo lui era giunto il momento di agire. Sono state intercettate conversazioni telefoniche dove era «un po’ stanco che non si passasse all’azione».

Fruttivendolo teatino, Franco La Valle ha frequentato il gruppo «sia online, su Facebook, sia, soprattutto, attraverso la propria manifesta disponibilità a prendere parte alle azioni delittuose progettate». Si è presentato a Manni e ai suoi complici «dicendo di avere alle spalle soggetti pronti a sostenerlo, auspicando di poter aggregare il suo gruppo a quello di Manni per la realizzazione degli attentati». Inoltre ha raccontato di conoscere personalmente Roberto Di Santo, «responsabile di aver tentato più attentati nel territorio abruzzese, esprimendo approvazione per le sue gesta e predicando la necessità di replicare azioni simili».

Originario di Milano e residente a Francavilla, Franco Grespi «rientra fra i soggetti più attivi. È assolutamente a favore di un passaggio all’azione, tanto che è lui stesso a proporre di procurarsi delle armi in Slovenia (abitando poco distante, a Gorizia, sino al 2014)». Si è reso anche disponibile a compiere attentati violenti, come quello all’hotel Ariminum di Montesilvano, frequentato «in maggioranza da extracomunitari».

Compagna di Grespi, «seppur in misura inferiore rispetto» a lui, Ornella Garoli ha svolto comunque «un ruolo attivo, partecipando alle riunioni e aderendo pienamente alla ideologia eversiva, non mostrando alcuna ritrosia di fronte alla pianificazione degli attentati o delle rapine». Anzi: secondo la testimonianza di uno degli agenti sotto copertura, «era anche stufa di attendere».

Con una grande passione per le armi da fuoco e per i coltelli, Luigi Di Menno Di Bucchianico aveva messo a disposizione di Avanguardia Ordinovista l’esperienza in campo militare e nelle tattiche di guerriglia maturata nell’Esercito italiano. A casa sua i carabinieri del Ros, nel giorno del blitz di fine 2014, hanno scoperto la “lista rossa”, un elenco di 14 politici «ad alto indice di fattibilità, individuati come possibili “bersagli” di attentati terroristici». Dalle motivazioni della sentenza sono spuntati i nomi di due «soggetti istituzionali» che gli imputati avrebbero voluto uccidere «tramite armi da fuoco»: l’aquilana Stefania Pezzopane, all’epoca senatrice del Partito democratico, e l’attuale deputato di Forza Italia Nazario Pagano, ai tempi presidente del consiglio regionale. Di Menno Di Bucchianico riteneva «più “giusto” colpire soli politici e gli immigrati, e non i rappresentanti delle forze dell’ordine, meri esecutori di ordini provenienti dall’esecutivo».

Assolto dall’accusa di terrorismo, Luigi Nanni è stato «salvato» dalla prescrizione per la seconda contestazione, quella di incitamento all’odio razziale. Ma, per i giudici, anche lui ha «una certa vicinanza ideologica al gruppo, estrinsecatasi variamente nella partecipazione, soprattutto online, ai dibattiti scaturiti dai post di Manni». Più nel dettaglio: ha dimostrato «senz’altro un concreto interesse verso il mondo dell’associazionismo di estrema destra, con piena e sincera condivisione di tali ideali», fermo restando che non ha avuto alcun ruolo all’interno della banda.

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