Piera Degli Esposti: all’Aquila devo molto

L’attrice racconta i suoi primi passi nel teatro e dice: gli aquilani hanno una grande forza

L’AQUILA. Per i 50 anni del Teatro Stabile d’Abruzzo, ieri festeggiati in città, l’ospite d’onore è stata l’attrice Piera Degli Esposti. Lo Stabile, nato il 28 ottobre 1963, ha visto sulle sue scene la giovane Piera, che a L’Aquila arrivò con il registra d’avanguardia Antonio Calenda. È il 1969 quando Piera, bolognese di nascita, arriva in città insieme a Gigi Proietti, e qui resta stabilmente fino al 1976. Anni di grande innovazione e sperimentazione, di cui L’Aquila fu protagonista attiva. Poco prima dei festeggiamenti per il cinquantenario Piera Degli Esposti si è raccontata. Occhi lucidi nel parlare dell’Aquila, una città i cui luoghi sono di «memoria e di gioia».

Cosa significa per lei il Teatro stabile d’Abruzzo?

«Per me è una festa questa giornata, questo teatro e questa città mi hanno dato la possibilità di diventare un’attrice con un consenso così grande. Lo debbo a persone molto coraggiose, Luciano Fabiani, Giuseppe Giampaola ed Errico Centofanti. Il minimo che potessi fare era essere qui oggi».

Che ricordo ha della città, al di là del Teatro stabile?

«Alloggiavo sempre all’hotel del Parco, e lungo le strade che percorrevo per andare in scena, vedevo le persone che poi venivano a teatro. Quando morì mio padre andai alle 99 Cannelle e per tutta la notte rimasi lì a ricordarlo. Tutti i posti sono stati sede di memoria, di gioia e di tutti ho domandato dopo la brutta e tremenda malattia del sisma. Gli aquilani hanno una grande forza, e con questa, la città, anche se con fatica, può ricominciare. Se non ci fossero gli aquilani, la città non ce la farebbe».

È protagonista della “Rappresentazione della Passione” per la regia di Calenda, che recentemente ha detto di voler riportare questo spettacolo all’Aquila. Lei tornerebbe?

«Sì mi piacerebbe, non vedo la vita come un itinerario lungo, ma piuttosto tondo. Io interpretavo Maria in luoghi dell’Aquila dove ero spensierata, come la Basilica di Collemaggio, e stare qui è sempre stato un grande appuntamento. Può darsi che questa possibilità di Calenda mi colga felicemente pronta».

Con Calenda e Proietti portò un teatro di avanguardia e L’Aquila divenne città di sperimentazione, oggi dove accade questo?

«Sono andata a volte a Settimo Torinese, dove c’erano ragazzi che lavoravano in un garage così come iniziammo io e Proietti con Calenda, con il Teatro dei Centouno per poi arrivare all’Aquila. Negli anni ’70 si andava nei teatri, nelle cantine, la cultura scendeva nelle strade. Oggi c’è un’invasione di una non cultura, quella televisiva. Anche il teatro risente della necessità di visibilità e la ricerca non è più come era».

Lei è legatissima a Dacia Maraini ed era al suo fianco quando ha deciso di abbandonare l’esperienza del Teatro di Gioia. Cosa pensa di questa decisione?

«Io e Dacia siamo come sorelle, lei ha scelto questa regione per vivere e io considero L’Aquila la mia città. L’amore per questa regione non è venuto men, e le è costato molto prendere questa decisione, ma era doveroso suonare un campanello d’allarme, che mi sembra sia suonato».

Piera Degli Esposti ha dovuto fare i conti con importanti problemi di salute, da bambina fece i conti con il primo pneumotorace e negli anni ha subìto diversi interventi. Voleva fare l’attrice e non smise mai di crederci, nonostante la mancata ammissione all’Accademia d’arte drammatica di Roma. Il dolore è stato uno stimolo, un pungolo per resistere ai rifiuti che avuto in giovane età?

«È stata la pazienza a farmi sopportare il dolore per i problemi di salute e per tutti i rifiuti professionali. E lo dico ad un popolo di pazienti (gli aquilani). Nessuno credeva in me, poi sono dovuti arrivare De Chirico, Eduardo De Filippo, Zeffirelli, e i tre del Tsa con Calenda, i registi Cobelli e Trionfo e tanti altri che hanno creduto in me».

È una dote che manca oggi la pazienza?

«Si molto e manca molto anche la lentezza. La lentezza conta più della velocità, quando vai troppo di fretta, poi sei costretto a sdraiarti».

Barbara Bologna

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