Porta Barete, niente intesa sul progetto di Antonini

20 Novembre 2013

Tesi contrastanti all’affollata assemblea voluta dall’amministrazione comunale I residenti attaccano il nunzio apostolico: «Non ha pensato alle persone»

L’AQUILA. Continua il braccio di ferro su Porta Barete. Mentre il Comune sembra voler tirare dritto verso l’ipotesi di riapertura di quello che doveva essere uno dei principali accessi alla città, i residenti del numero civico 207 di via Roma (il palazzo che potrebbe essere delocalizzato in seguito all’operazione di ripristino) tuonano contro monsignor Orlando Antonini, nunzio apostolico, che ha sollevato la questione. «Da uomo di chiesa dovrebbe pensare prima alle persone che alle cose». Intanto, in un affollatissimo auditorium del Parco, davanti al Castello cinquecentesco, ieri sera, è arrivata un’altra sonora bocciatura al progetto di riapertura della Porta, quella del docente universitario di Ingegneria Antonello Salvatori. «Aprire una porta antica che si affaccia poi su un centro commerciale è una vera schifezza», dice il professore senza mezzi termini. «Bisogna piuttosto pensare ad altri problemi con i quali la città è costretta a fare i conti tutti i giorni, come le difficoltà legate al traffico».

Più prudente, invece, il direttore regionale dei Beni culturali Fabrizio Magani: «La cosa certa è che dietro la porta non ci aspettiamo di trovare niente», spiega mentre mostra una serie di diapositive dei lavori effettuati per la realizzazione del ponte sovrastante l’antica porta. «Durante le opere all’epoca venne fuori questo: terra. Non pensiamo ci possa essere altro».

Il soprintendente, tuttavia, non esclude la possibilità di riaprire il varco di quella che, come spiega, «più che una porta potrebbe essere un’antiporta di accesso a un’altra apertura monumentale», ma pone interrogativi sull’originalità del materiale di costruzione attuale che sarebbe diverso da quello di foto precedenti. «Presto presenteremo uno studio su Porta Barete», conclude, riservandosi valutazioni più approfondite. Non ne vogliono sapere i residenti dell’edificio che si trova a ridosso delle mura, rappresentati da Daniela Piancatelli. «Per il recupero del nostro palazzo è arrivato il contributo definitivo, speravamo di poter rientrare in tempi certi, invece, non sappiamo quanto ancora ci vorrà», spiega. «Quello che è accaduto a noi potrebbe accadere anche ad altri, viste le modalità con cui opera il Comune».

I residenti, inoltre, pongono una serie di interrogativi: «Perché non si parla dell’esterno delle mura e solo dell’interno? Perché solo ora esce un argomento che, come dice l’assessore alla ricostruzione Pietro Di Stefano, era già all’esame di di piani precedenti al terremoto? Perché non ci sono state verifiche archeologiche sugli edifici adiacenti al nostro? Perché si è dato il via libera all’ampliamento del tribunale che ricade nella stessa zona se si pensava a questo progetto? Perché nell’area si consente il progetto di un edificio dell’Anas multipiano?» E ancora: «Perché è stato permesso l’aumento del 50 per cento della cubatura alla sede della Dottrina Cristiana a ridosso delle mura?».

Interrogativi a cui in parte risponde monsignor Antonini, attaccato per «non aver pensato alle persone» quando ha deciso di sollevare la questione. «Ho pensato ai giovani, ai figli, ai nipoti», risponde, nel brusio. «Se non si ricostruisce in un certo modo la città, i giovani se ne andranno. Il turismo ambientale e culturale è la chiave di volta per il futuro dell’Aquila». Il prelato spiega anche che «la porta vera e propria non esiste più, non è stata ricostruita dopo il terremoto del 1703, resta il quadrilatero antemurale con due torrioni, di cui uno sotto il ponte, l’antiporta tamponata ogivale trecentesca. Voglio sollecitare il Comune», conclude, «a prendere subito una decisione, la riapertura della storica fortificazione antemurale di Porta Barete sarebbe uno stupendo biglietto da visita della città, nel luogo dove si concluse l’assalto di Braccio da Montone». Non si sbilanciano, tuttavia, il sindaco Massimo Cialente, che parla dell’importanza «di scelte condivise, soprattutto per opere che cambieranno il volto alla città», né l’assessore Di Stefano, che si concentra sul recupero di tutta la cinta muraria. Il dibattito, dunque, resta aperto.

Michela Corridore

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