Sindaco e stampa nel mirino dei legali degli scienziati

La difesa degli imputati prova a smontare la condanna scritta dal giudice Billi «Sentenza squinternata, la Protezione civile non ha competenze sul sisma»
L’AQUILA. Aggiungi un posto a tavola.
È la storia di un dramma immane, sì, ma sembra proprio di assistere alla commedia di Garinei e Giovannini in questa quarta udienza del processo di secondo grado ai sette ex componenti della Commissione grandi rischi. Dallo scarico di energia allo scarico di responsabilità, insomma, il passo è breve. È il mestiere della difesa, si dirà. Ma per difendere quei sette – già condannati in primo grado a sei anni di reclusione ciascuno per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose – gli avvocati ne evocano altri, di imputati. Ecco, vorrebbero, allora, che su quelle confortevoli poltrone ergonomiche foderate di blu elettrico della sede di Pile della Corte d’Appello vi fossero, in ordine sparso, il sindaco, la protezione civile regionale, quella comunale e quella ancor più periferica, se pure esiste, quindi la stampa et cetera. Piove acqua da una finestra e macchia di nero il pavimento dell’atrio della Corte d’Appello. Ma qui no, la Protezione civile non c’entra. È roba di silicone e di uno zelante operaio, e la precipitazione cessa subito. Dentro l’aula, invece, la «pioggia» è battente. Piovono accuse su tutti, tranne che sui sette alla sbarra. Insomma, se colpevoli ci sono – in questa «matassa ingarbugliata», «sentenza squinternata», «pagina brutta della giustizia italiana», «giornalisti dal comportamento infedele», «caos informativo di ogni genere», «comunicazione devastante», «diritto penale da risistemare», «vicenda più incredibile che mi sia mai capitata», «sentenza che accetta discorsi che non hanno senso», «perle del pm» e altro, tutto liberamente tratto dal florilegio delle arringhe difensive – essi vanno cercati altrove. Non ultimo chi quella riunione volle e organizzò, anticipandone al telefono i contenuti («diranno che...»), cioè quel Guido Bertolaso che da convitato di pietra di questa faccenda potrebbe presto diventarne parte. E magari, pensa qualcuno, e altri lo dicono pure, un po’ di colpa andrebbe gettata pure su chi, Quella Notte, restò a casa. Sentite l’avvocato Filippo Dinacci che difende Bernardo De Bernardinis e Mauro Dolce. «Delle 309 vittime e dei 1500 feriti, solo trenta sono stati i casi di persone ritenute condizionate dalla commissione Grandi rischi...anche i numeri hanno un peso...».
Poco prima, ecco l’avviso ai naviganti: «Una sentenza del genere non reggerebbe in Cassazione. Questo è il primo e sarà anche l’unico processo di questo tipo». Come unico è il curriculum dei sette esperti che furono chiamati e sedettero al tavolino traballante in una città che in quei giorni era «un inferno». Si apprende dai loro legali che «De Bernardinis fece il maggiordomo di casa, lui che insegna meccanica dei fluidi». Dolce, poi, «non è un sismologo». È «esterno» alla commissione. E la comunicazione, per carità, non toccava all’organo centrale «ma a quelli periferici», leggi Comune e poi Regione. E si cita il passo del «Cialente allarmato e preoccupato» che chiese lo stato d’emergenza. Selvaggi, poi, venne all’Aquila su invito di Boschi «per dire che il terremoto stava arrivando» e ha beccato una condanna «per quanto avvenuto in un’ora, tra le 18,30 e le 19,30». Quindi la chiosa: «Il Dipartimento di Protezione civile non ha competenze sismologiche», ma interviene solo a disastro avvenuto.
Insomma, L’Aquila in quei giorni era un inferno. Ma per questi sette pare troppo pure il Purgatorio: «Vanno assolti». Di musical in musical, alla settima ora di udienza, a sentire tutto questo, ne viene in mente un altro, stessi autori: «Alleluja brava gente».
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