Villa Sant’Angelo, salita all’inferno

Il diario di viaggio di Marco Federici nel paese sbriciolato dal sisma.

VILLA SANT’ANGELO. «I volontari arrivano in terra d’Abruzzo intorno all’una. Parma, Bologna, Ancona: si lascia l’A14 a Pescara e si prende l’A25 da abbandonare a Popoli. La marcia di avvicinamento dentro i mezzi della protezione civile si fa sempre più silenziosa. Si scruta la terra intorno per vedere le impronte dell’apocalisse. Con lo sguardo si fruga nei paesi che attraversiamo per giungere alla meta: Barisciano, San Gregorio, San Demetrio ne’ Vestini. Una manciata di km ancora: arrivati».

«Sono le due passate». Così Angeli tra le macerie (Mup editore). Più che un libro è il diario di un viaggio insieme ai volontari di Parma accorsi ad aiutare la gente di Villa Sant’Angelo, uno dei Comuni dell’Aquilano colpito dal terremoto del 6 aprile. Il viaggio di una settimana, la settimana santa che precedeva la Pasqua di quest’anno, raccontato da Marco Federici, cronista della Gazzetta di Parma, che fa rivivere con pudore e sensibilità le sofferenze di quei giorni drammatici e al tempo stesso la solidarietà dei tanti volontari giunti da ogni parte d’Italia.

A Villa Sant’Angelo, sotto le macerie, sono morte 17 persone, uno dei luoghi più fatali dell’Abruzzo terremotato. Ecco l’arrivo raccontato da Marco Federici. «Il cartello di Villa Sant’Angelo sulla facciata della piccola stazione pende da un solo chiodo. L’edificio è martoriato dalle crepe, ma non è crollato. Il buio che avvolge il paese bluffa sulle dimensioni della tragedia. Le case nuove ai bordi dell’abitato, strapazzate ma ancora tutte in piedi, nascondono le ferite alle viscere. Solo imboccato l’ultimo pezzo di vicolo che si arrampica in paese, le notizie radio che ci hanno accompagnato durante il viaggio si fanno immagine. Le facciate delle vecchie case sono crollate sulla strada, i mezzi dei volontari passano a fatica.

Nella piazzetta il paesaggio è lunare; il gioco di luci e ombre della potente torre-faro alzata dai vigili del fuoco aumenta lo straniamento. La chiesa dedicata a San Michele Arcangelo è sventrata, non esiste più l’angolo tra facciata e fianco. Il campanile è disassato, sta in piedi per miracolo: l’orologio è fermo, segna le 4 meno un quarto in punto. Ha smesso di camminare nel momento della grande scossa».

«Nella piazzetta del Municipio, il vigile di Villa Sant’Angelo, Giovanni De Matteis, esce dalla sua Panda d’ordinanza: conferma che le lancette del paese erano avanti di qualche minuto, che si sono fermate quando la ‘bestia’ si è imbizzarrita, quando la sua coda ha sferzato l’Abruzzo. Il silenzio mette i brividi: si sente in sottofondo solo il rumore sordo del generatore, solo lo scoppiettare dei calcinacci sbriciolati dagli anfibi dei pompieri che camminano sulle macerie».

Il diario continua: è martedì 7 aprile, il giorno dopo la scossa. «La mattina, vicino alla tendopoli in costruzione, poco lontano dalla seconda chiesa del paese, anch’essa dedicata a San Michele Arcangelo, anch’essa completamente sventrata, c’è un gruppo di sfollati villesi. Ci sono i sopravvissuti. Paolo si aggrappa alla spalla di un amico: è rimasto solo. Paolo è un ragazzone di 19 anni disperato, gli occhi non hanno più la forza di piangere, lo sguardo sempre basso. Ha perso il padre, la madre e la sorella Francesca, ventidue anni appena. Non fosse che è rimasto in piedi quel lembo di tetto sotto cui dormiva, l’unico pezzo di casa a non sbriciolarsi, la famiglia Olivieri non esisterebbe più. Conosco già la sua storia, me l’hanno raccontata i suoi compaesani.

“E’ stato terribile”, dice Paolo con la voce soffocata. “Quando mi sono svegliato, ho visto sopra di me uno squarcio di cielo e sono uscito dal tetto. Poi ho chiamato mamma e papà, ma non rispondevano. Ho chiamato Francesca, ma non rispondeva nemmeno lei”. Loro, tutti e tre, erano sepolti sotto una montagna di detriti. “Abbiamo scavato tutta notte con le mani” continua “ma loro non rispondevano mai”. Il sole ormai è alto, la nebbia è scomparsa. Arroccata sulle pendici del monte, appena sopra il paese, si scorge l’antica frazione di Tussillo, un grappolo di case senza strade in mezzo, solo piccoli borghetti. Anche sgraziata dal terremoto sembra uscita da una fiaba. Il sole illumina la tragedia di Villa Sant’Angelo: qualche centinaio di case, una farmacia, un bar, un ristorante e due chiese. Tutto qua, o poco più. Ora non c’è più niente».