«A caccia di nuovi mercati come studenti fuori sede»

Il caso-Elco: Carlo Guidetti racconta la crescita di una multinazionale tascabile «A Carsoli dal’97 grazie ai patti territoriali della Marsica: la buona politica aiuta»

L’AQUILA. What else? «Che altro vuoi?». Carlo Guidetti, manager romano dell’Elco che da Carsoli è arrivata fino in Cina, chiede così ai suoi clienti: ti serve altro? Intanto racconta di come la buona politica, ingenti investimenti, idee chiare possano essere il mix giusto per scalare i mercati.

Come comincia la success story?

«Mi definivo un libro stampato: molto bravo a fare consulenza ma volevo capire se ero capace a mettermi in gioco e a portare dentro una piccolissima azienda qualcosa di nuovo. Elco nasce nel 1970, io entro nel 1996 e il primo sviluppo è portare fuori una tipica azienda familiare dalla Tiburtina valley, lì c’erano tutti i siti di elettronica. Divenuti azienda manageriale abbiamo avviato le esperienze all’estero. Oggi abbiamo produzione in Italia, Francia, Olanda e Cina. Il fatturato è al 30% italiano e 70 nel resto del mondo, dove si cresce più facilmente. Non sottovalutiamo ogni piccolo cliente italiano».

Com’è scattato il risiko mondiale delle acquisizioni?

«Il processo è partito con la Spagna per poi toccare Cina e Francia e ora l’Olanda, base per la Germania e tutto il Nord Europa. Non abbiamo intenzione di fermarci: l’unico sistema, nel settore, per crescere».

Perché avete accettato l’internazionalizzazione?

«Da una parte cercavamo nuovi mercati. Dall’altra, al di là di mettere un venditore qua e là, abbiamo capito che era importante mettere uffici fuori e stabilire priorità. L’esperienza in Cina potrebbe sembrare delocalizzazione, ma dobbiamo rispettare i nostri clienti che vogliono meno fornitori. Devi dar loro il complesso del prodotto: la nostra azienda dev’essere in grado di offrirti qualunque cosa, se low cost si può fare solo in Cina preferisco farlo da me, non comprare e rivendere. Non sempre delocalizzare vuol dire portar via produzioni: questo ci ha permesso di creare più occupazione pure in Italia. Facevamo lo stesso prodotto dell’ultima fase Siemens quando si chiamò Lares. Avemmo l’intuizione e la fortuna di capire che non era più un prodotto che si potesse fare in quella maniera in Europa».

E le risorse?

«Abbiamo iniziato con Simest, socia per 8 anni nella nostra esperienza cinese con capitale dal 25 al 40%. In una seconda fase di investimenti verso l’estero siamo stati affiancati da Sace. Elemento fondamentale è mettersi in discussione. Non esiste soluzione migliore che avere di fronte qualcuno che ti deve dare i soldi e che ti può dire se il tuo business planning è corretto o no. Oggi siamo nella fase 3.0 e abbiamo un nuovo socio: il fondo italiano di investimento creato dall’Abi. Ci sta dando una grandissima mano per le acquisizioni».

Consigli per avere successo?

«La cultura manageriale del team è importante sennò l’estero è una barriera insormontabile. Valore aggiunto, per me, romano, è stato il fatto di essere passato per Carsoli e aver incontrato l’Università dell’Aquila, i cui studenti sono un fiore all’occhiello. Per l’estero serve gente disponibile a muoversi: proprio come i fuori sede dell’Università. Se fai recruiting con uno studente proveniente dall’Aquila, il trasferimento per lui è naturale. Altro consiglio: avere idee chiare, fare un piano di crescita senza sprecare soldi e forze. Bisogna sfruttare le proprie idee senza aver paura: se sono giuste sono finanziabili e il progetto avrà successo».

Perché in Abruzzo e perché Carsoli?

«Nel 1997, grazie ai 5 milioni di contributo dei patti territoriali della Marsica, abbiamo delocalizzato. Il nostro settore è molto soggetto a investimenti annuali: noi investiamo minimo 3 milioni l’anno. La buona politica aiuta. Sono ancora attratto dall’Aquilano. Se ci fosse uno strumento come il patto territoriale della Marsica che ha creato 85-100 posti a Carsoli si può ripetere. Con noi lavorano dall’operaio agli ingegneri: negli anni abbiamo puntato sempre più su figure qualificate di laureati e spinto molto sulla formazione interna. Oltre alla costa bisognerebbe guardare all’Aquila e Marsica. Permettere di creare investimenti, sì, ma creare controlli contro i furfanti che usano i soldi in modo non corretto».

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