Balneatori, a Pescara è partita la corsa a vendere

Dopo Alcione, anche La Vongola e Positano. Il titolare di Istria: non sono interessato, ma se mi fanno un’offerta cedo subito

PESCARA. Tutto in vendita. Già provati dalla crisi, di fronte allo spettro della Bolkestein e delle relative aste che dal 2020 potrebbero essere anticipate al 2016, molti tra i balneatori pescaresi provano a salvare il salvabile mettendo in vendita le proprie attività prima che qualcuno, da tutta Europa, arrivi a togliergli tutto.

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Chi apertamente, chi affidandosi a voci che fanno circolare nell’ambiente, sono tanti gli imprenditori del mare che non si fidano più di tutta questa incertezza e provano a lasciare. Non solo Enzo Pecoraro con il prestigioso Alcione, ma anche ristoranti storici come La Vongola, locali abituati a fare il pieno come Positano, ma anche attività di riferimento come l’Aurora sulla riviera sud. E anche chi non offre l’attività, contrariamente al passato adesso si dice pronto a cederla di fronte a un’eventuale offerta, come Giammauro Mantini di Istria, che dopo 28 anni e intere generazioni di adolescenti passati da quelle parti non fa fatica a dire: «Non ho messo lo stabilimento in vendita, ma se mi fanno un’offerta lo cedo subito. Perché il problema è che tutti sono in vendita, anche se solo qualcuno lo dice apertamente».

La questione la spiega Cristiano Tomei, coordinatore nazionale della Cna balneatori che a fine ottobre ha partecipato a Roma, con i rappresentanti degli altri sindacati dei balneatori, al tavolo tecnico con Sandro Gozi, il sottosegretario Pd con delega agli affari europei. «Il governo sta valutando la riforma delle concessioni che preveda un periodo transitorio. Abbiamo un anno di tempo, tutto il 2015, per presentare una riforma europea che regolamenti una volta per tutte la faccenda».

Una fretta giustificata dal rischio di anticipare al 2016 la proroga del 2020 (la seconda concessa all’Italia dalla Ue), se il governo Renzi non provvederà in tempi stretti al riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime, ma una fretta alimentata anche dalla recente sentenza del Tar Lombardia che lo scorso 26 settembre, in merito a un demanio lacustre, ha messo in dubbio la validità della proroga 2020, chiedendo alla Corte di Giustizia europea un parere in merito.

«Ci sono ancora tremila chilometri di costa da dare in concessione, la nostra proposta», dice Tomei, «è di mandare quelle zone all’asta europea, concedendo invece un periodo transitorio ai balneatori storici che hanno fatto investimenti e che magari ancora stanno pagando i mutui. Una proroga di 75 anni, come ha proposto la Spagna».

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«In questa situazione il rischio», denuncia Stefano Cardelli, titolare dello stabilimento Nettuno e presidente del consorzio balneatori Ciba, «è che di tutta questa situazione ne approfittino le organizzazioni malavitose o grosse catene, gli unici soggetti, chi per un verso, chi per un altro, in grado di permettersi grossi investimenti. Certo», ammette, «è giusto che si rimescoli, sono giuste le garanzie richieste dalle aste ad evidenza pubblica sul mantenimento occupazionale, sulla contribuzione in regola e sul piano industriale, ma ora più che mai bisogna stare attenti. Perché poi il tema è questo: chi oggi è in grado di fare investimenti importanti con il rischio di perdere tutto ogni sei anni, quando scade il rinnovo della concessione? Ma tanto non ci arrendiamo», promette Cardelli, «non è detto, se le cose dovessero andare male, che non si faccia una grande causa contro lo Stato, si tratta del sacrificio della vita».

«Io non vendo e, se ci sarà, non parteciperò all’asta», dice netto Lorenzo Iulianetti, titolare della Prora, ristorante, spiaggia e piscina che dal ’99 gli è costato un investimento di tre milioni di euro «non ancora ammortizzati». Attacca Iulianetti: «Stanno prendendo un bidone grosso come una casa, chi vincerà le aste capirà che non è più un business produttivo. Perché tanto alle aste ci si arriverà: dopo aver cercato di regalare il Colosseo gli è rimasta solo la spiaggia da regalare. Ma a esserne penalizzati saranno solo i fruitori finali che si ritroveranno prezzi alle stelle e prodotti tutti uguali. Perché non ci prendiamo in giro: chi fa l’investimento, la grande catena, arriva per guadagnarci e in qualche modo farà: comprano, fanno monopolio e fanno schizzare i prezzi». Non ci pensa proprio a mollare Domenico Pagliari, titolare dell’Apollo: «L’anno scorso si erano fatti avanti i russi, tramite un’agenzia immobiliare di Montesilvano, ma non ho venduto e non vendo. Perché lo stabilimento me l’ha lasciato mio padre dopo 50 anni di sacrifici. Perché mi dà il pane e non mi lamento. Ma se qualcuno viene a prenderselo all’asta gli sparo. Perché per questo stabilimento comprato dieci anni fa, con mia madre e i miei fratelli abbiamo ancora il mutuo e 4 case ipotecate».

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