Bombarolo, adesso è caccia ai complici

20 Gennaio 2013

I carabinieri cercano chi ha aiutato il 58enne di Roccamontepiano E Di Santo dalla cella annuncia: continuerò la mia battaglia scrivendo libri

PESCARA. Ora che Roberto Di Santo è in carcere, dopo dieci giorni di latitanza scanditi da tre incendi e un ordigno piazzato al piano terra di una trifamiliare, i carabinieri possono tirare il fiato e, soprattutto, concentrarsi a ricostruire che cosa è successo davvero tra l’8 e il 18 gennaio. In particolare, gli investigatori vogliono capire con esattezza come si è mosso il bombarolo di Roccamontepiano e chi l’ha aiutato. Perché se le condizioni in cui ha vissuto nel camper nascosto all’interno del casolare di Rosciano lascerebbero pensare che abbia fatto tutto da solo, dall’altra ci sono almeno due punti che non tornano e su cui gli uomini del colonnello Marcello Galanzi stanno ancora lavorando.

La testimonianza. Si comincia dal dettaglio importante fornito la notte del primo rogo in via Piemonte, a Villanova di Cepagatti, dai vicini di casa presi di mira da Di Santo. Quando la famigliola si alza, svegliata dal rogo che sta distruggendo la propria Golf, si affaccia e vede uscire dal cancello entrambi i mezzi in uso a Di Santo: vale a dire il camper bianco con il tettuccio verde e la Toyota Starlet, di proprietà della sorella, che lui va poi a incendiare a ridosso del Tribunale di Chieti, in piazza San Giustino, la sera del 10 gennaio. Dunque qualcuno, stando a questa circostanza, potrebbe aver agevolato Di Santo quantomeno nella logistica, negli spostamenti più pericolosi, tenuto conto che comunque era un piano organizzato dettagliatamente e con largo anticipo dall’uomo che si era portato dietro una tessera postamat, aveva una buona scorta di viveri, si era dotato di un gruppo elettrogeno e nel casolare di Rosciano (in località Secca), oltre alla tv portatile, al computer e al materiale informatico, si era portato anche una bicicletta, i trucchi per camuffarsi e, anche, la pistola ad aria compressa e il bombolone di gpl trovati dai carabinieri.

I complici. Ma gli elementi forniti dai vicini non sono gli unici a far ritenere che possa esserci almeno un complice, lo stesso che presumibilmente potrebbe averlo riportato a Rosciano dopo il rogo della Toyota in piazza San Giustino, a Chieti, dove Di Santo era arrivato presumibilmente proprio a bordo dell’auto poi incendiata contro il portone del Tribunale. Ancora, quello che non torna, e su cui è stata più volte sentita la sorella stessa di Di Santo, è anche lo strano incastro di orari registrato quando, mercoledì, mentre la donna va nella sede di Rete8, a Chieti Scalo, per consegnare il dvd che dice di aver trovato davanti al cancello della villetta di Villanova la mattina stessa, Di Santo passa con la bicicletta lì davanti e lascia un altro videomessaggio sul cassonetto adiacente alla sede della televisione di viale Abruzzo. Una coincidenza che potrebbe spiegarsi con il fatto che Di Santo ha seguito la sorella, ma che non sta in piedi, però, se si pensa che la donna girava in macchina e l’uomo, invece, in sella alla bicicletta su cui è stato immortalato mentre si allontanava, dal cameraman della televisione privata.

Nessun errore. «Quel che è certo», commenta il colonnello Galanzi, «è che lui non ha fatto nessun errore. Se lo abbiamo preso è solo grazie alle ricerche palmo a palmo nella zona dove sin dall’inizio ritenevamo che si nascondesse, considerando che gli accertamenti tecnici comunque non avevano dato alcun esito».

In carcere. È tranquillo e sereno Michele Di Santo, che nella sua prima notte nel carcere di San Donato in una cella con altri detenuti, ha letto un libro sull’Islam di un autore francese e ha dormito regolarmente. Lo racconta il suo avvocato Alfredo Di Pietro che ieri mattina ha passato un’ora con «il bombarolo» di 58 anni accusato di strage, danneggiamenti e incendi per iniziare a tracciare la linea difensiva da tenere nell’interrogatorio previsto domani mattina in carcere davanti al pm Silvia Santoro. «Ha bisogno di un’assistenza specialistica, di assistenti sociali o psicologi, ma non è un pazzo», ha ribadito il legale convinto a non richiedere la perizia psichiatrica, «ma una persona decisa a portare alla ribalta problematiche sociali che altrimenti non sarebbero emerse, esasperate dentro di lui dalla situazione della sorella che si lamentava dei problemi con la casa acquistata. Una situazione che lo aveva molto dispiaciuto e che lo ha portato a fare quello che ha fatto perché, come mi ha detto lui stesso, pur rendendosi conto della gravità del suo comportamento, non ha trovato altra maniera per mettere a nudo certi problemi di ingiustizia sociale».

Libri e giornali. Ha letto i giornali che parlavano del suo arresto e ha chiesto altri libri Di Santo che, anche ieri, ha ripetuto la sua volontà di andare a concludere la sua azione a Roma, come aveva fatto al momento della cattura con gli stessi carabinieri a cui aveva chiesto altri due giorni di tempo per portare a termine la sua battaglia. Ma è ancora il suo difensore a dar voce a quello che più sembra premere adesso a Roberto Di Santo: «Ci tiene tantissimo a dire che non voleva fare del male a nessuno. Anzi, se ha fatto quello che ha fatto è perché vuole bene alla gente, e con questi suoi gesti ha voluto richiamare l’attenzione sul fatto che c’è bisogno di un cambiamento delle regole, che queste regole vanno gestite meglio e diversamente».

Lo scrittore. Concetti che Di Santo, ora che è rinchiuso in carcere dove rischia di restare 15 anni, ha intenzione di portare avanti scrivendo nuovi libri e utilizzando ancora, come ha fatto in passato, Internet dove ha un sito personale (www.rodisan.it) su cui ha pubblicato le lettere aperte scritte a Obama, Berlusconi e al presidente della Repubblica Napolitano, ha sintetizzato i contenuti dei suoi tre libri discettando di religione e filosofia e pubblicato i videomessaggi che si concludono con l’ormai celebre segno delle tre dita centrali alzate, a simboleggiare il popolo che tramite Internet può raggiungere la conoscenza e con questa emanciparsi da un sistema iniquo».

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