Ciclone, la procura rinuncia al ricorso alla Cassazione

Le prescrizioni hanno cancellato le accuse ma il processo d’appello poteva essere celebrato in tempo
MONTESILVANO. Ciclone non conoscerà i supplementari. Per l’accusa che lo scatenò, è finito tutto al 90esimo, anzi a tempo abbondantemente scaduto. Non ci sarà ricorso contro la sentenza cassacorruzioni della Corte d’appello. Perché l’incedere degli anni ha già emesso il proprio verdetto, spazzando via con la prescrizione un’inchiesta partita come un treno ad alta velocità e giunta al traguardo con l’andatura di un ronzino.
I cittadini hanno imparato a conoscere nelle sentenze dei processi quel termine - prescrizione - che disorienta, perché lascia un senso di non detto, di incompiuto, un chiaroscuro, un’opacità parente di un refugium peccatorum che si verifica quando la giustizia non riesce ad arrivare, non ce la fa, come il caso Eternit ha prepotentemente portato alla ribalta.
Ciclone bis conta assoluzioni, tre condannati ma anche parecchie prescrizioni dei reati-scopo, le corruzioni, che lanciano il messaggio poco edificante di un processo con 32 imputati allo start che dopo avere provocato a fine 2006 uno sconvolgimento politico e sociale nella quarta città d’Abruzzo, al traguardo del percorso di merito è piombato fuori tempo massimo, finendo off side, non più classificabile, come il maratoneta o il ciclista che arrivano a notte fonda.
Ma perché Ciclone ha fatto questa fine? Era davvero inevitabile far affondare i capi d’imputazione nella prescrizione? Eppure, la richiesta di rinvio a giudizio era stata partorita in un anno e mezzo. La prima picconata è stata inflitta dall’udienza preliminare, durata dall’ottobre 2008 al luglio 2010: quasi due anni, il primo dei quali esaurito tra omesse notifiche, con il cambiamento in corsa del gup, da Tascone a De Matteis. La lunga trascrizione delle intercettazioni, legittima ma sfibrante per i periti, ha allungato i tempi a dismisura.
L’effetto è stato che l’udienza filtro per antonomasia – concepita dal legislatore per snellire i processi – è durata quasi quanto il dibattimento, approdato al verdetto a fine dicembre 2012. Ma il colpo fatale è arrivato dopo. Da Pescara, gli atti del processo di primo grado, su sollecitazione del presidente Giuseppe Antonio Cassano, sono stati inviati alla Corte d’appello dell’Aquila a luglio 2013. Perché il processo non è stato celebrato a inizio 2014, a prescrizioni non ancora scattate?
Se è vero che tutti i processi, partire da quelli del terremoto, hanno uguale importanza e i giudici di secondo grado fanno i salti mortali per celebrarli, il messaggio griffato dalla giustizia - alla resa dei conti di un Ciclone senza più forza propulsiva- resta quello di un affanno intrinseco al sistema, di una difficoltà nel garantire davvero una risposta, una verità che non sia solo quella, inesorabile scandita dal trascorrere delle ore, dei giorni, delle settimane, dei mesi, degli anni. Una sentenza senza prescrizioni è un segno di civiltà non solo nei confronti di inquirenti e investigatori che hanno creduto nel proprio operato, ma anche di quegli imputati raggiunti da misure cautelari o da avvisi di garanzia che si ritengono innocenti e che hanno diritto a un verdetto chiaro, e non solo in parte.
Ma soprattutto nei confronti di quei cittadini che una mattina di novembre del 2006 si sono visti portare via e rinchiudere in carcere un sindaco che avevano eletto con maggioranza bulgara e che dopo 8 anni apprendono di una sentenza ricca di prescrizioni, assoluzioni e risarcimenti, dove le parole paiono fare a pugni tra loro.
Un eventuale ricorso in Cassazione, da qualunque delle due parti fosse stato proposto, se ritenuto inammissibile dalla Corte suprema avrebbe comunque blindato la sentenza di secondo grado dal trascorrere del tempo, con una sorta di effetto retroattivo. Invece no: si è arrivati a novembre, con un processo in stato comatoso che oggi (per il ricorso in Cassazione è competente la procura generale dell’Aquila) fa escludere il tentativo di sollecitare un nuovo appello.
Ad agosto 2015 arriva al traguardo l’eventuale associazione per delinquere per i promotori (8 anni e 9 mesi), già disconosciuta dai giudizi di merito. Dal deposito della sentenza di secondo grado al verdetto della Cassazione, e dal deposito di quest’ultimo alla celebrazione di un eventuale secondo processo d’appello non ci sono più i tempi tecnici. Tanti saluti a Ciclone, allora.
La motivazione della sentenza darà soddisfazione a entrambe le parti, alla procura di Pescara che dietro le prescrizioni individua la responsabilità degli amministratori mascherate dal colpo di spugna dell’incedere del tempo, e agli stessi imputati, assolti o prescritti che siano, comunque indenni. Restano le macerie giudiziarie: quei 200 mila euro di risarcimenti sparsi tra 7 imputati, a testimonianza che se il Sistema Montesilvano non stava in piedi, qualcos’altro però c’era, c’è stato. A macchia di leopardo, occasionale, episodico forse, ma qualcosa è accaduto. Ma se era solo una brezza, e non un ciclone, i cittadini avrebbero meritato di saperlo con più chiarezza. La nostra stropicciata giustizia non è in grado di farlo.
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