Crac lavanderie, quattro condanne a Pescara

Bancarotta da 6,5 milioni. Il vertice dell'organizzazione Piccioni patteggia 3 anni e 10 mesi
PESCARA. Sette società nel settore della lavanderia industriale messe in piedi e portate al fallimento per una bancarotta fraudolenta di 6.5 milioni. E' per questo che più di un anno fa finì in carcere Andrea Piccioni ritenuto il vertice del crac: l'uomo ha patteggiato ed è stato condannato a 3 anni e 10 mesi.
Porta la data del febbraio 2011 la grande operazione mirata a smantellare uno «schema criminale», un sodalizio tra 12 persone con ruoli distinti - il dominus, l'organizzatore e i prestanomi - in cui due persone sono finite in carcere e altre dieci agli arresti domiciliari accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e di truffa anche alla Regione.
Il vertice di quell'organizzazione Andrea Piccioni, 45 anni, pescarese residente a Montesilvano, difeso dagli avvocati Luca Sarodi ed Enrico Della Cagna, è stato condannato a 3 anni e 10 mesi - pena sospesa - dal giudice per l'udienza preliminare Gianluca Sarandrea. A patteggiare, poi, sono state altre tre persone con ruoli che, all'epoca, sono stati individuati come prestanomi: le sorelle Liberata e Barbara Di Blasio, pescaresi residenti a Montesilvano, condannate rispettivamente a un anno e dieci mesi e a un anno e otto mesi e Sergio Miseri, sempre residente a Montesilvano, che ha patteggiato 6 mesi. Anche per i tre difesi dall'avvocato Monica Ruscillo la pena è stata sospesa.
A dare l'avvio all'inchiesta del pm Barbara Del Bono, le cui indagini sono state condotte dai carabinieri del comando provinciale di Marcello Galanzi, è stato un esposto in procura da parte di un uomo che era stato avvicinato dall'organizzazione in cerca di un nuovo prestanome per le società. Da lì sono, quindi, iniziate le indagini arrivate a smantellare quello che l'accusa chiamò uno «schema criminale». Secondo il pm, Piccioni era il gestore a mezzo di prestanomi di sette società di lavanderia e noleggio biancheria, tutte con sede a Collecorvino, in località Case Bruciate, e anche l'ideatore e il promotore dei fallimenti di Daniela srl Le Lavanderie, Fe.De.Ri.Co. sas, Laundry Company, A & D Promotion sas, Ap Laundry sas, Evendry Unipersonale. Le società, secondo l'accusa, venivano di volta in volta portate al fallimento attraverso la «depauperazione dei beni e la sottrazione della contabilità» usufruendo «di finanziamenti aperti presso vari istituti di credito con l'intento di utilizzare i soldi senza restituirli».
Se Piccioni era considerato il vertice, le altre persone che ieri hanno patteggiato erano state inquadrate invece come prestanomi. Complessivamente, il gruppo avrebbe condotto operazioni illecite per 8 milioni di euro tra bancarotta e false fatturazioni e, tra i truffati, spicca anche la Regione. Tra le varie operazioni che all'epoca vennero ricostruite dagli investigatori c'era anche una richiesta al servizio delle Politiche per la promozione e il sostegno dell'occupabilità della Regione per ottenere la stabilizzazione dei rapporti di lavoro e usufruire di alcuni benefici.
A richiedere quel finanziamento da 55mila euro, poi erogato, sarebbero state quattro persone tra cui Piccioni e Liberata Di Blasio, che avrebbero nascosto che si trattava di una società già all'epoca dell'istanza inattiva e avrebbero quindi indotto la Regione in errore «procurandosi un ingiusto profitto».
Porta la data del febbraio 2011 la grande operazione mirata a smantellare uno «schema criminale», un sodalizio tra 12 persone con ruoli distinti - il dominus, l'organizzatore e i prestanomi - in cui due persone sono finite in carcere e altre dieci agli arresti domiciliari accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e di truffa anche alla Regione.
Il vertice di quell'organizzazione Andrea Piccioni, 45 anni, pescarese residente a Montesilvano, difeso dagli avvocati Luca Sarodi ed Enrico Della Cagna, è stato condannato a 3 anni e 10 mesi - pena sospesa - dal giudice per l'udienza preliminare Gianluca Sarandrea. A patteggiare, poi, sono state altre tre persone con ruoli che, all'epoca, sono stati individuati come prestanomi: le sorelle Liberata e Barbara Di Blasio, pescaresi residenti a Montesilvano, condannate rispettivamente a un anno e dieci mesi e a un anno e otto mesi e Sergio Miseri, sempre residente a Montesilvano, che ha patteggiato 6 mesi. Anche per i tre difesi dall'avvocato Monica Ruscillo la pena è stata sospesa.
A dare l'avvio all'inchiesta del pm Barbara Del Bono, le cui indagini sono state condotte dai carabinieri del comando provinciale di Marcello Galanzi, è stato un esposto in procura da parte di un uomo che era stato avvicinato dall'organizzazione in cerca di un nuovo prestanome per le società. Da lì sono, quindi, iniziate le indagini arrivate a smantellare quello che l'accusa chiamò uno «schema criminale». Secondo il pm, Piccioni era il gestore a mezzo di prestanomi di sette società di lavanderia e noleggio biancheria, tutte con sede a Collecorvino, in località Case Bruciate, e anche l'ideatore e il promotore dei fallimenti di Daniela srl Le Lavanderie, Fe.De.Ri.Co. sas, Laundry Company, A & D Promotion sas, Ap Laundry sas, Evendry Unipersonale. Le società, secondo l'accusa, venivano di volta in volta portate al fallimento attraverso la «depauperazione dei beni e la sottrazione della contabilità» usufruendo «di finanziamenti aperti presso vari istituti di credito con l'intento di utilizzare i soldi senza restituirli».
Se Piccioni era considerato il vertice, le altre persone che ieri hanno patteggiato erano state inquadrate invece come prestanomi. Complessivamente, il gruppo avrebbe condotto operazioni illecite per 8 milioni di euro tra bancarotta e false fatturazioni e, tra i truffati, spicca anche la Regione. Tra le varie operazioni che all'epoca vennero ricostruite dagli investigatori c'era anche una richiesta al servizio delle Politiche per la promozione e il sostegno dell'occupabilità della Regione per ottenere la stabilizzazione dei rapporti di lavoro e usufruire di alcuni benefici.
A richiedere quel finanziamento da 55mila euro, poi erogato, sarebbero state quattro persone tra cui Piccioni e Liberata Di Blasio, che avrebbero nascosto che si trattava di una società già all'epoca dell'istanza inattiva e avrebbero quindi indotto la Regione in errore «procurandosi un ingiusto profitto».
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