Discarica Bussi, le foto choc dei veleni: fiume inquinato da 50 anni

Nei documenti inediti la contaminazione che ha devastato il Pescara e il mare: fino al 1972 tutte le acque di scarto scaricate nel Tirino, trovato mercurio nei pesci dagli anni settanta

PESCARA. È un inquinamento lungo cinquant’anni, forse anche di più, un secolo, quello che parte da Bussi e arriva fino a Pescara e nel mare. Un disastro ambientale che ha una data di nascita incerta e si perde nella parola «passato». Negli atti giudiziari inediti dell’inchiesta sulla mega discarica di Bussi - che Il Centro pubblica - si racconta la storia dei siti contaminati e dell’inquinamento del fiume Pescara e del mare. Ecco gli appunti dei dirigenti del polo chimico di Bussi che già nel 1972 rivelano di aver scaricato veleni nel fiume «senza alcun trattamento»; ecco gli allarmi lanciati a ripetizione dagli istituti di ricerca, negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, a fronte di analisi con valori sballati fino a «200 volte» oltre i limiti di legge; ecco le lettere degli enti locali, come il Comune di Pescara, che quasi con la paura di disturbare – tranne l’unica protesta degli anni Settanta dell’assessore Giovanni Contratti – chiedono ai colossi italiani della chimica la bonifica dei siti inquinati. Ma a Bussi, una terra stretta tra due fiumi che da soli valgono un terzo delle acque abruzzesi, «occorre non spaventare chi non sa», recita un biglietto vecchio di oltre trent’anni, sequestrato dagli agenti della Guardia forestale nel 2007 quando è stata scoperta la prima discarica abusiva, la più grande, in località Tre Monti.

Fiume maledetto. Il fiume Pescara nasce benedetto e limpido a Popoli, poi lungo il suo corso abbraccia l’affluente Tirino che scorre sotto le fabbriche di Bussi e si carica di un inquinamento senza pari, fino a contaminare i terreni di Chieti e Pescara, lontani più di 20 e 40 chilometri: è alla confluenza con il Tirino che il fiume diventa maledetto. L’inizio dell’inquinamento delle acque e dei terreni si perde con l’insediamento del polo chimico nel secolo scorso quando a Bussi si producevano le armi per la Prima e la Seconda guerra mondiale. Ma negli appunti delle ditte ci sono anche le date precise: in un biglietto del 1972 si parla dei residui di lavorazione «scaricati finora o al fiume o in fosse praticate nel terreno». In un’altra relazione sempre del ’72 su carta intestata della Montefluos, azienda della Montedison, si dice: «Nel passato e fino all’anno 1972, tutte le acque (raff + processo) della Siac venivano scaricate nel fiume Tirino senza alcun trattamento».

leggi anche: Discarica di Bussi, la procura: "Un uomo solo si oppose alla Montedison" Ecco la storia dell’assessore Contratti: 44 anni fa pretese la bonifica, poi fu isolato da tutti

Primo allarme. È del 1975 il primo allarme lanciato dal Laboratorio chimico provinciale, l’Arta dell’epoca: «Mediamente, il tenore in piombo totale delle acque del fiume Tirino raddoppia dopo lo scarico dell’impianto Siac». Anche le analisi interne della Montedison, sempre nel ’75, confermano la stessa emergenza: «Gli attuali valori di piombo risultano circa 4 volte superiori ai limiti imposti» e il documento ammette anche che «gli impianti di trattamento in esercizio non consentono di abbassare ulteriormente la concentrazione di piombo». Negli anni Settanta l’inquinamento sembra l’effetto collaterale obbligato del lavoro: una distorsione necessaria che si deve accettare in quanto, come ha accertato anche la commissione parlamentare d’inchiesta sul Ciclo dei rifiuti, «il bene lavoro prevaleva su tutto».

Pesce al mercurio. Oggi il mercurio nei pesci non è un mistero: lo ha accertato anche un recente studio dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo. E non lo era neanche prima: nel 1972 ne parlano anche i giornali, compreso il Corriere della Sera che racconta di «pesci mostruosi nel Pescara». È per questo che i dirigenti del polo chimico predicano «riservatezza»: in un documento interno sull’avvio dei campionamenti, si dice che «per il momento il lavoro si deve svolgere senza troppa pubblicità per non attirare interessi indiscreti e, data la nostra ben nota situazione, pericolosi». Il biglietto prosegue: «Ho insistito sulla riservatezza perché sappiamo come stiamo, come sono le acque a monte e come sono quelle a valle per i due fiumi che ci interessano: Tirino e Pescara». E ancora: «Potremmo risvegliare sospetti da parte di terzi (Comune di Bussi ad esempio) e mettere in movimento qualcosa di sgradito che renderebbe affannosa la ricerca della soluzione del problema stesso». Passano gli anni e l’inquinamento resta: in un’altra nota interna emerge «preoccupazione» e si dice che «il grosso del mercurio sfugge per vie ignote».

Siti tossici. Gli anni Settanta sono anche quelli dell’origine della discarica Tre Monti: i rifiuti tossici avrebbero dovuto essere sotterrati solo per 8 mesi necessari alla costruzione di un silos ma sono ancora lì, sotto il cavalcavia dell’A25. E nelle foto esclusive che pubblichiamo si nota che si sono liquefatti e hanno colorato il terreno a strisce rosse. In una lettera del 18 maggio 1972 inviata alla Montecatini Edison, il Comune di Pescara parla proprio di quei rifiuti sotterrati e di «inquinamento del terreno e della falda freatica»: «Riteniamo necessario che, da parte vostra, si proceda al dissotterramento di quanto immesso nel terreno per un più proprio collocamento del materiale inquinante».

Da Bussi a Pescara. Negli anni Ottanta lo sanno già tutti che l’inquinamento di Bussi arriva fino a Pescara e nel mare: lo dice anche un rapporto dell’istituto Donegani del 1981 che rivela come i veleni siano arrivati anche «lungo la fascia urbana e industriale da Chieti Scalo a Pescara» e «in mare nell’area antistante la foce». Anche nel 1993 uno studio della Erl rileva inquinamento: «In prossimità dello stabilimento Siac il fiume Tirino presenta sedimenti con contenuto elevatissimo di piombo». Cioè concentrazioni tra 38 mila e 265 mila microgrammi ogni chilo a fronte di un massimo di 5 mila. Stessa storia per il Pescara, avvelenato da clorometani «fino a oltre 200 volte superiori al limite».

Salute a rischio. L’Istituto superiore di Sanità, nel 2014, fa la sintesi di decenni di abbandono e rinvii della bonifica: la discarica «ha pregiudicato tutti gli elementi che presiedono e garantiscono la sicurezza delle acque, determinando così un pericolo reale e concreto per la salute degli utilizzatori e consumatori delle acque cui è anche mancata ogni informazione rispetto ai potenziali rischi per la salute associati al consumo di tali acque e cui, pertanto, era preclusa la possibilità di adottare misure specifiche di prevenzione e mitigazione dei rischi».

©RIPRODUZIONE RISERVATA