Famiglia nel bosco, Di Pietrantonio: «Certi provvedimenti sono dolorosi ma necessari»

L’intervista all’autrice abruzzese: «Ho visto tanti casi peggiori di questo, è una materia delicatissima che ci tocca nel profondo»
PESCARA. Mentre la vicenda della famiglia di Palmoli inizia ad assumere i contorni sempre più definiti di una vicenda che ha del romanzesco, con l’intreccio fitto a mescolare le trame di personaggi sempre più numerosi, con i grandi temi della filosofia e della giustizia a fondersi con la materia umana, a intervenire sulla questione è proprio una delle grandi narratrici del nostro tempo, Donatella Di Pietrantonio. La scrittrice abruzzese - Premio Strega nel 2024 con L’età fragile - è cresciuta ad Arsita, nelle campagne teramane che hanno ispirato certi immaginari della sua letteratura e i tanti ricordi che ha raccontato spesso ai microfoni del Centro.
Di Pietrantonio, la storia di questa famiglia somiglia un po’ alla sua.
«Non direi».
Ma anche lei è cresciuta isolata dalla società.
«Sono cresciuta ad Arsita, in campagna. I miei erano contadini, non per scelta ma per necessità».
Racconta spesso che la prima volta in città fu un trauma.
«Nei pochi contatti con il mondo esterno, quando si andava in paese, provavo una sensazione tremenda».
Ce la spiega?
«Era l’umiliazione di essere trattati come ignoranti. Mio padre, figura autoritaria in casa, fuori dal nostro contesto era considerato solo un contadino».
È vero che la società di oggi impone di omologarsi?
«Penso che si possa vivere bene anche senza inseguire le tendenze».
E si può essere felici lo stesso?
«Su questo non ho dubbi. Ho avuto pazienti, da odontoiatra, cresciuti senza cellulare e televisione e comunque con una vita felice. Ci faccia caso: c’è il problema opposto».
Cioè?
«Se entra in un ristorante, vede solo tavolate di adulti che chiacchierano e accanto un tavolo con i bambini armati di cellulare. Così se ne stanno zitti e buoni: quello va bene?».
Quindi condivide la causa dei “genitori del bosco”.
«Non conoscendo a fondo i dettagli della vicenda, preferisco non parteggiare».
Perché?
«I genitori sono liberi di adottare il modello educativo che ritengono più opportuno…».
…Ma?
«Dobbiamo chiederci se questa filosofia di vita garantisca le condizioni di sicurezza e protezione che sono la base dei diritti dell’infanzia. Ci sono dei punti cruciali».
Quali?
«Prima di tutto, la salute. Mi ha colpita sentire che sono stati ricoverati per intossicazione da funghi».
E poi?
«La socialità. Bisogna capire per bene se questi bambini avevano davvero accesso a qualche forma di socializzazione, perché è un elemento irrinunciabile nella cresciuta di ciascuno».
Inevitabile che fosse ridotta, non andando a scuola.
«Il diritto all’istruzione è il terzo nodo della vicenda. Quale che sia, anche un modello parentale va più che bene, ma è un diritto che deve essere a tutti i costi garantito e bisogna tenere d’occhio questo punto con grande attenzione».
Insomma, non è tra chi è rimasto sconvolto dal provvedimento.
«Questi provvedimenti dolorosi purtroppo a volte sono necessari. Però non voglio riferirmi a questo caso, ne ho visti tanti peggiori…».
Dove?
«Ho curato delle attività in una casa famiglia, trascorrendo tanto tempo con i ragazzi che vivevano lì. E ho capito una cosa importante…».
Quale?
«A volte lasciare a tutti i costi i bambini con i genitori può portare a conseguenze drammatiche».
Parla di Palmoli?
«No, parlo in generale. Ci sono casi e casi, uno di questi mi ha sconvolta».
Quale?
«Quello di Muggia, con la madre che ha ucciso il figlio di 9 anni».
In questo caso, però, è diverso.
«Sì, per questo dico che non bisogna generalizzare. Queste storie ci toccano nel profondo perché ci sono di mezzo dei bambini, ma il rapporto tra genitori e figli è materia delicatissima».
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