Rigopiano, i parenti delle vittime: «I 29 morti non si cancellano, la giustizia vuole tempo»

I famigliari si schierano con il procuratore Barlucchi: «Le sue parole sulla prescrizione adesso ci ridanno speranza»
PESCARA. «Chi ha perso tutto, merita tempo, ascolto, giustizia». Sì, giustizia. I familiari delle 29 vittime della valanga di Rigopiano – era il 18 gennaio del 2017, ore 16.49 – chiedono giustizia da quasi 9 anni. Da quel giorno quando una cascata di neve, alberi e rocce distrusse il resort simbolo del turismo montano abruzzese, i parenti hanno perso il conto delle udienze e di tutte le volte in cui si specchiano in quella frase – «La legge è uguale per tutti» – che dovrebbe essere un pilastro dell’Italia. Lungo un percorso giudiziario tortuoso – un gioco dell’oca iniziato dal tribunale di Pescara fino alla Corte d’appello dell’Aquila, poi arrivato alla casella della Corte di Cassazione e infine fermo l’appendice alla Corte d’appello di Perugia – i parenti dei morti innocenti tirano i dadi sperano che esca giustizia.
E poi ci mettono sempre la faccia. Sulle magliette, sugli striscioni, sulle foto che stringono tra le mani, ci mettono anche la faccia di quelli che non ci sono più, nella consistenza di un corpo che si può stringere, ma esistono nella terra di mezzo dei ricordi senza tempo. Già, il tempo, la variabile indipendente di questa storia: il tempo che la mattina del 18 gennaio gli ospiti e i dipendenti dell’hotel di Farindola, costruito ai piedi del Monte Siella in una zona che tutti sapevano a rischio valanga ma senza una carta che lo provasse, non hanno avuto per scappare quando la troppa neve e le scosse di terremoto facevano paura; il tempo di una notte, quella tra il 17 e il 18 gennaio, trascorso senza spazzare via la neve lungo la strada provinciale che da Farindola si inerpica fino a Rigopiano perché la turbina era rotta dal precedente 6 gennaio e ripararla costava troppo; il tempo della giustizia che, il 18 luglio 2024, ha raggiunto già il traguardo di una prescrizione a due facce, cioè salvezza per gli imputati e beffa per gli altri.
E allora, insieme alla giustizia, i parenti chiedono tempo, il tempo che la giustizia maturi: «E chi sta lavorando, con testa e cuore, per evitare che questa tragedia finisca nel silenzio», dicono, «merita un grazie grande quanto la nostra attesa». Queste parole sono un abbraccio ideale al procuratore generale Paolo Barlucchi che, nella sua requisitoria, ha tracciato una teoria giudiziaria che affonda le sue basi nell’articolo 3 della Costituzione per allungare la data di scadenza dei reati contestati agli imputati: se così fosse, secondo un’interpretazione «letterale» dell’ex legge Cirielli, la prescrizione dal reato di omicidio colposo plurimo scatterebbe il 18 gennaio del 2032. «Abbiamo visto qualcosa che dà speranza», dicono i familiari, «il procuratore Barlucchi ha avuto il coraggio e la lucidità di dire una cosa semplice ma enorme: 29 vite non possono essere cancellate da un tecnicismo. La sua requisitoria non è stata solo un atto giuridico, ma un gesto di responsabilità e di rispetto».
I familiari c’erano il giorno della sentenza di primo grado, a Pescara, quando la lettura del dispositivo di una catena di assoluzioni – 22 su trenta imputati – provocò una reazione rabbiosa; c’erano anche alla Corte d’appello dell’Aquila quando, nell’elenco delle condanne, comparve anche quella per l’ex prefetto Francesco Provolo; c’erano in Corte di Cassazione quando si sono allargate le maglie dei responsabili di quel disastro e gli atti sono stati mandati a Perugia per un processo bis imperniato sull’assenza della Carta valanghe (Clpv, Carta di localizzazione dei pericoli da valanga). E su questo fronte, Barlucchi ha chiesto la condanna a tre anni e dieci mesi per i sei dipendenti del servizio di Protezione civile regionale dell’Abruzzo.
Quei sei erano stati assolti in primo e secondo grado dalle accuse di disastro, lesioni e omicidio colposi. «In questo percorso difficile», dicono i familiari, «sapere che c’è chi alza lo sguardo, chi non si arrende ai limiti, chi vede la ragionevolezza oltre la burocrazia… ci fa respirare un po’ di fiducia». Aspettano la sentenza, i parenti: «Che questa sia la strada giusta. Che nessuno venga dimenticato. Che la giustizia abbia il tempo che le serve. Grazie Procuratore. Grazie a chi ogni giorno lotta con noi».
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