Il docente detenuto in Albania non uscirà dal carcere: in cella fino alla fine delle indagini

2 Ottobre 2025

Il difensore Kepi ha incontrato la compagna del prof rinchiuso in Albania dopo un incidente stradale, la ragazza ringrazia il sindaco Biondi: «Non ci ha mai lasciati soli, è un punto di riferimento costante»

L’AQUILA. Si è infranta ieri la speranza di un alleggerimento della misura cautelare per Michele D’Angelo, professore di biologia dell’Università dell’Aquila e scienziato di fama internazionale, detenuto nel carcere di Fier dopo l’incidente stradale dell’8 agosto lungo la strada di “Qafa e Kosovicës”. Il suo difensore di fiducia, l’avvocato Sokol Kepi, al termine di un colloquio di due ore con la compagna Vanessa Castelli, ha confermato che la custodia cautelare resterà invariata almeno fino alla chiusura delle indagini, prevista per novembre. Una notizia che ha colpito duramente la donna, docente universitaria anche lei, che sperava di poter riportare presto il professore in Italia. La compagna non ha mai smesso di seguire con apprensione ogni passaggio della vicenda giudiziaria e attendeva con trepidazione un segnale di apertura dalle autorità albanesi. Ora, invece, dovrà affrontare altre settimane di attesa, tra l’angoscia della distanza e il timore per le condizioni di salute di D’Angelo, provato psicologicamente e moralmente dalla detenzione. In questo quadro delicato, lontano dai riflettori e senza mai voler apparire, si è mosso con discrezione anche il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi. È stato lui, racconta Castelli, il primo a essere contattato subito dopo l’accaduto e ad attivarsi immediatamente con la Farnesina, garantendo l’apertura dei necessari canali diplomatici con Tirana. «Voglio ringraziare il sindaco» sottolinea, «perché nei giorni più difficili per me e per Michele ho trovato in lui un punto di riferimento costante. Da allora non ci ha mai lasciati soli: si tiene costantemente aggiornato, senza mai farci sentire abbandonati. È bello sentire la vicinanza della sua comunità e sapere che la massima istituzione cittadina non ha esitato un attimo a interessare il ministero degli Esteri della vicenda». Intanto, cresce la preoccupazione nella comunità accademica aquilana: colleghi e studenti guardano con smarrimento a una vicenda che rischia di vanificare anni di lavoro scientifico e di ricerca. Ma soprattutto resta il dolore privato di una famiglia, che non si rassegna all’idea di vederlo rinchiuso ancora a lungo in un carcere lontano da casa. Nel colloquio di ieri con l’avvocato Kepi si è discusso anche di un passaggio cruciale dell’inchiesta: la nuova perizia affidata a tre esperti indipendenti. Secondo il legale, la perizia che sostiene l’accusa è «lacunosa», segnata da errori e omissioni così gravi «da mettere a rischio il diritto» di Michele D’Angelo «a un processo equo» in Albania. La memoria difensiva sostiene che in primo luogo non è stata determinata la velocità della Mercedes, dato ritenuto centrale per ricostruire l’incidente, mentre la scatola nera non avrebbe fornito elementi utilizzabili e l’esperto non ha spiegato con quali strumenti abbia tentato di recuperarli. Contestazioni arrivano anche sulla segnaletica – descritta come linea continua ma in realtà discontinua, quindi con svolta consentita – e sulla dinamica dell’impatto: la Mercedes sarebbe comparsa all’improvviso dopo una curva a velocità eccessiva, senza lasciare a D’Angelo possibilità di manovra.

Da qui la richiesta di una nuova perizia affidata a tre esperti indipendenti, chiamati a verificare segnaletica, velocità dei veicoli, punto dell’impatto ed eventuale possibilità di evitare la tragedia rispettando i limiti stradali. La Procura deciderà entro la prima decade di novembre se accogliere la richiesta: un passaggio cruciale per il futuro del professore aquilano.

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