Il senso della filosofia «L’uomo ritrovi la natura»

L’autore del saggio “Come fare” elogia la forza del pensiero critico e la ricerca del piacere «per ritrovare la pienezza con la vita immanente»

di Ugo Perolino

"Come fare" di Rocco Ronchi è un libro appassionato, dedicato alla costruzione del corpo, alla forza coercitiva del linguaggio, ai significati dell'oblio; un libro animato dall'impegno a recuperare la forza critica del pensiero, ad uscire dai luoghi comuni della comunicazione (Rocco Ronchi, "Come fare", Feltrinelli, 188 pagine, 20 euro). L'autore insegna Filosofia teoretica all'Università dell'Aquila e alla Bocconi di Milano. «La filosofia», spiega «è un colpo di sonda nel reale».

Quale filo tematico tiene insieme queste riflessioni sul linguaggio, il corpo, il senso della fine?

«Il filo rosso che lega tra loro questi saggi è una idea forte di filosofia. L'intera modernità è stata segnata, anche nei suoi esiti più alti, dalla dismissione della metafisica e dall'accettazione della relatività della conoscenza. Di contro a questa tendenza sono riemerse recentemente istanze cosiddette "realiste" che di fatto riabilitano un certo positivismo acritico. Anch'io penso che la filosofia debba essere concreta e debba aspirare all'assoluto. Non credo però che il reale in questione sia il reale del "fatto" contrapposto alle "interpretazioni". Il reale che mi interessa è, invece, più vecchio di questa dicotomia. È il reale del divenire, è il reale dell'evento, inteso come fondamento di tutto ciò che diviene e di tutto ciò che accade. A questo luogo originario rivolge lo sguardo il filosofo speculativo, il quale, perciò, non deve chiedersi che cosa sia l'evento, cosa sia il divenire, quanto piuttosto come stare nel divenire, come abitare l'evento. Sono domande "etiche" che concernono il "come fare" e non il "che cosa": come fare, ad esempio, a parlare una lingua che non sia funzionale al potere, come farsi un corpo che non sia "prestante", come fare a diventare adulti mantenendo integro lo sguardo straniante dell'infanzia».

Richiamandosi a Deleuze, lei scrive che "essere di sinistra" vuole dire avere il "senso dell'orizzonte". Ad esempio, di fronte al microreato dell’immigrato, significa porsi l'annosa questione della colonizzazione europea e delle sue conseguenze. Però la sinistra tende a diventare "minoritaria", "elitaria" e perfino "sprezzante", mentre la destra confida nel "sentire comune". Ma se si ammette che il "senso comune" è "naturalmente reazionario", non si rinuncia al potenziale di trasformazione della politica?

«Il senso comune è naturalmente reazionario. È un automatismo percettivo guidato dalla paura del cambiamento. Il che però non significa affatto che il pensiero critico sia destinato allo scacco. Proprio Gilles Deleuze ci ha insegnato che essere minoritari non significa automaticamente essere minoranza. Il pensiero critico può infatti diventare egemone, può cioè orientare la coscienza collettiva in una direzione minoritaria. Si pensi, ad esempio, che cosa è stato il femminismo negli anni '70, si pensi come quel discorso, che era indubbiamente un discorso minoritario (anzi che rivendicava apertamente la sua natura minoritaria), abbia orientato il dibattito pubblico, come abbia determinato l'agenda politica, imp. onendo temi, sollevando questioni che spaccavano le famiglie, che dividevano le generazioni. Il concetto gramsciano di egemonia andrebbe allora ripensato in questo senso. Non è la conquista della maggioranza, non è la produzione di senso comune (che è sempre di destra), ma la trasformazione per un certo tempo di una maggioranza in una minoranza critica. Nel suo senso più nobile, quello che aveva persuaso la gioventù europea di cinquant'anni fa, e la rivoluzione culturale maoista aveva proprio questa vocazione».

Il diffondersi di nuovi populismi è da mettere in relazione con l'emergere di una nuova soggettività "anarchica", insofferente a ogni vincolo istituzionale che ne limiti il "diritto al godimento". Il berlusconismo ha rappresentato un esperimento globalmente inedito. Ma, crollato Berlusconi, quali chiavi di lettura del funzionamento della democrazia ci consegnano queste analisi, in una stagione contrassegnata da parole come rigore e austerità?

«La stagione del berlusconismo è stata effettivamente segnata dall'emergenza di un nuovo tipo di soggettività, ben descritta dallo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati. È una soggettività svuotata di ogni contenuto, totalmente deistituzionalizzata, e ridotta alla sola dimensione del godimento di sé. A caratterizzarla è l'ostilità di principio nei confronti della Legge, di qualsiasi Legge, vista come negazione del proprio diritto ad un godimento assoluto. Ha ragione Recalcati a dire che qui si trova la radice più profonda del conflitto insanabile tra Berlusconi e la magistratura. Era perciò pressoché inevitabile che il dopo-Berlusconi fosse segnato da un ritorno in pompa magna del primato della Legge e fosse caratterizzato da austerità e rigore. Ma la critica di Recalcati rischia anche di gettare via il bambino insieme all'acqua sporca. C'è infatti anche un altro senso possibile del godimento che non è solo eversione cripto-fascista della Legge, sebbene non sia sempre facile tracciare linee nette di distinzione. Il godimento - lo insegna proprio Jacques Lacan - è anche il segno del radicamento dell'uomo nel piano della materia. Godere significa procedere al di là del desiderio, al di là della Legge, al di là della mancanza, per ritrovare una pienezza ed una continuità con la natura (pre-umana o post-umana) e con la sua vita immanente. In questo senso interessa il filosofo speculativo che è sempre alla ricerca delle vie che portano lontano dall'uomo, nei pressi dell'Assoluto».

©RIPRODUZIONE RISERVATA