L’ultima scalata degli amici alpinisti

Morti mentre aprivano una nuova via sulla parete nord del Monte Camicia Il capocordata è precipitato trascinando l’altro. I soccorritori: «Una fatalità»

CASTELLI. A vederlo oggi il monte Camicia, l’Eiger dell’Appennino come lo chiamano gli appassionati, insinua un senso di pace assurdo perchè qui pace non può esserci. Almeno quando la cronaca ti sbatte in faccia la morte di due alpinisti con la montagna nel cuore e nella testa. Gente esperta come Roberto Iannilli, 62 anni tra qualche giorno, romano, pluripremiato per le sue scalate in Italia e all’estero, e come Luca D’Andrea, 51 anni, di Sulmona, grande conoscitore del Gran Sasso.

Erano in cordata sulla parete nord del Camicia, volevano aprire una nuova via sulla quinta cima del Gran Sasso. Insieme come avevano già fatto tantissime altre volte. Li hanno trovati legati uno all’altro, quasi alla base della parete: molto probabilmente un appiglio non ha retto e il capocordata è volato trascinando anche il compagno. «Una fatalità» ripete chi da queste parti la montagna ce l’ha nel sangue e sa quali siano i rischi di una roccia friabile come quella del Camicia e dei suoi 2.500 metri. Perché Iannilli e D’Andrea la parete nord del Camicia la conoscevano bene, così bene che Iannilli qualche anno fa aveva aperto già un’altra via.«L’aveva chiamata Vacanze romane» ricorda Gino Perini, responsabile della stazione del corpo nazionale del Soccorso Alpino. È toccato a lui il recupero, a lui che sei anni fa aveva già soccorso Iannilli all’epoca rimasto ferito durante un’arrampicata sul Paretone del Gran Sasso. L’allarme è scattato all’alba di ieri quando i familiari dei due, non avendoli visti rientrare e avendo provato inutilmente a contattarli sui cellulari, hanno chiamato il 118. Perché Iannilli, dopo ogni impresa, era solito chiamare la moglie. Si è alzato in volo l’elicottero con a bordo il medico e Perini. Una breve perlustrazione ha spazzato via ogni speranza. «Li abbiamo avvistati quasi subito», racconta Perini che di soccorsi e di recuperi ne ha fatti a centinaia e che questa montagna la conosce meglio di se stesso, «è stata una fatalità perché entrambi erano molto preparati e sapevano bene come muoversi». E sono le sue parole, esperte e misurate, a raccontare quello che potrebbe essere successo ai due usciti nella notte compresa tra martedì e mercoledì «perché da bravi alpinisti hanno sfruttato prima il chiarore della luna piena e poi le prime luci dell’alba per avere tutta la giornata davanti. Avevano le pile frontali sui caschetti segno inequivocabile che la prima parte è stata fatta in notturna. Difficile dire da che altezza siano precipitati. Io penso, visto il posto in cui abbiamo ritrovato i corpi, che potrebbe essere stato intorno ai 1.500, 1.600 metri. Erano due persone esperte, due alpinisti che avevano fatto arrampicate molto più difficoltose del Camicia. E’ stata una fatalità, solo una drammatica fatalità e purtroppo in montagna può capitare». E questo gli alpinisti lo sanno. La gente di montagna sa che tutto può avvenire da un momento all’altro. Lo si capisce guardando le facce di chi poco dopo le 13 arriva davanti all’obitorio dell’ospedale di Teramo. Amici, conoscenti, ma soprattutto tanti colleghi, tanti alpinisti che con Iannilli e D’Andrea hanno condiviso la passione di una scalata, di un’arrampicata, di un’alba avvistata in parete. «Il dolore è davvero forte», dice l’amico romano compagno di tante avventure che non nasconde le lacrime, «ma questa era la vita di Roberto, la montagna era la sua vita e il Gran Sasso la sua grande passione. Non c’era momento che non pensasse alla prossima vetta, alla prossima sfida. Amava i silenzi e la maestosità della montagna. Anche in questo grande momento di dolore mi piace immaginarlo su una vetta, con il suo sorriso». Il suo e quello di D’Andrea che sulla sua pagina Facebook è il volto della felicità nelle immagini pubblicate appena qualche giorno fa, l’11 luglio. Anche quel giorno con Roberto Iannilli sul terzo pilastro di Pizzo Intermesoli. Insieme sul quel Gran Sasso amato e sfidato. «Ma sempre con rispetto» dicono gli amici alpinisti. Il rispetto dei grandi.

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