Milia: processo a D’Alfonso non sui fatti

5 Febbraio 2013

Il giorno della difesa, l’avvocato: non ci sono prove sull’arricchimento personale dell’ex sindaco. Lunedì 11 la sentenza

PESCARA. Idee e non fatti, ricostruzione fantasiosa, deduzioni del pm, mancanza di prove, un processo imbastito contro la persona e un capo d’imputazione con lo stesso refrain – «agendo su mandato del sindaco Luciano D’Alfonso, su espressa richiesta del sindaco...» – da essere quasi recitato: «Quant’è bello, sembra una poesia». Manca una settimana alla sentenza per i 24 imputati nell’inchiesta per presunte tangenti in Comune e, ieri, a chiudere il dibattimento è stato l’avvocato Giuliano Milia che in 3 ore ha difeso D’Alfonso scandagliando le accuse di associazione per delinquere, corruzione, truffa, peculato e concludendo con la richiesta di assoluzione con formula piena. «Il pm ha fatto un apprezzamento sulla persona prima di riferire i fatti», ha attaccato il legale, «ma sono recenti le parole del procuratore generale della Corte di Cassazione: “Bisogna perseguire i fatti con fermezza, perseguire qualcuno è un pessimo contributo alla giustizia”».

«Sigilli plateali alla casa di D’Alfonso». E’ dal disorientamento che, per la difesa, l’indole di D’Alfonso avrebbe procurato al pm Gennaro Varone che Milia è partito per tornare, poi, con la memoria al 15 dicembre 2008, data in cui D’Alfonso venne arrestato ai domiciliari. «Il gip disse che le cifre nella lista di Guido Dezio potevano essere un finanziamento illecito. Era semplice, ma il pm insorse contro il gip usando epiteti nei confronti di D’Alfonso così che il gip, sentendosi attaccato, ha avuto difficoltà a essere coerente. Ecco, c’è stata una particolare determinazione contro il soggetto. Il sequestro della villa a Lettomanoppello di D’Alfonso?», ha portato a esempio Milia. «La casa è stata costruita per 3/4 con il denaro della famiglia. Perché un sequestro così plateale? Perché un’appariscente segnaletica sul cancello d’ingresso? Solo per mostrarlo alla gente perché il sequestro si fa per trascrizione», ha detto riferendosi alla casa che, secondo Varone, sarebbe stata comprata dall’ex sindaco a prezzi stracciati dando in cambio appalti a Rosario Cardinale.

«Squadra d’azione? Sì, per la città». Parola per parola, l’avvocato ha poi letto e cercato di smantellare l’accusa di associazione per delinquere in cui D’Alfonso sarebbe stato a capo di una «squadra d’azione». «Squadra d’azione è un termine sbagliato per un’amministrazione», ha detto Milia. «Ma se di squadra dobbiamo parlare, allora è riferita all’intensità di opere fatte da D’Alfonso per la città: una squadra che ha fatto l’interesse della cosa pubblica, un pool di professionisti in cui gli incarichi sono stati attribuiti secondo legge».

«Nessun arricchimento personale». Il legale è partito dalla lista Dezio, quella con nomi e cifre, per allontanare da D’Alfonso l’ombra delle tangenti. «I presunti versamenti in nero dovrebbero essere la matrice dell’arricchimento personale di D’Alfonso e anche se fosse così sono 29 mila euro e non centinaia come dice il pm. Con questa cifra D’Alfonso avrebbe dovuto comprare la casa, la moto, mangiare, vestirsi? Non solo non c’è proporzione ma non c’è neanche la prova di quelle cifre entrate nel partito, chieste da Dezio e date a D’Alfonso: è un film senza prove». Milia ha fatto riferimento, poi, ad alcuni errori tra cui la trascrizione del fax inviato dall’ex sindaco alla tipografia Brandolini e per cui è accusato di truffa. «La procura l’ha riportato omettendo la parola “solo”. La versione corretta è: “Pensate a lavorare, non pensate solo ai soldi” che cambia il significato».

«Toto danneggiato». Sulla villa, Milia ha detto che «le consulenze del pm sono frastagliate e tutte diverse tra loro con fatture che non ha prodotto». I cimiteri e, infine, il rapporto con Carlo e Alfonso Toto, gli imprenditori che per il pm sarebbero stati favoriti nell’appalto dell’area di risulta offrendo in cambio viaggi gratis all’ex sindaco. «Toto ha rinunciato all’appalto», ha detto, «Toto è stato danneggiato da D’Alfonso», ha aggiunto raccontando un episodio personale, sigillo difensivo alla generosità degli imprenditori su cui tanto si è dibattuto nel processo. «Toto ha messo a disposizione un aereo a mio figlio per il viaggio di nozze», ha raccontato il legale, «e certo io non gli ho dato appalti. I Toto sono così: generosi».

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